COVID-19: un alleato delle politiche climatiche?
di Hugo Savoini
Mentre il mondo vive una delle più gravi epidemie dell’ultimo secolo, la crisi economica inizia a manifestarsi in un generalizzato crollo della produzione e la politica ha l’arduo compito di dissipare la densa nube di incertezza che offusca il futuro di famiglie e imprese, è doveroso chiedersi cosa ne sarà della più importante sfida che i governi erano chiamati ad affrontare nel mondo prima del Covid-19 e che inevitabilmente tornerà ad essere la priorità non appena la pandemia sarà passata. Che effetto avrà la crisi sulla transizione energetica? Le politiche climatiche passeranno in secondo piano rispetto all’urgenza della ripresa economica oppure si intensificheranno portando il mondo sulla traiettoria condivisa a Parigi nel 2015? L’interrogativo è cruciale, la questione ineludibile. Nonostante in questi giorni gli sforzi e l’attenzione mediatica siano giustamente concentrati sull’emergenza sanitaria e su quella economica che ne deriva, il futuro dipende (letteralmente) dalla lotta al cambiamento climatico.
Contestualizziamo: dal 2015, anno dell’Accordo di Parigi, ad oggi, nonostante il clima e l’ambiente siano entrati nel dibattito pubblico come mai era accaduto in passato, e la sensibilità dei cittadini rispetto al problema sia enormemente cresciuta, le emissioni di CO2 hanno fatto lo stesso. Ciò ha sollevato non poche domande sulla effettiva capacità dei governi di limitare l’aumento della temperatura a 1.5°C rispetto all’era preindustriale. Nel frattempo, gli ultimi rapporti dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) del 2018 e del 2019 hanno rilevato che il clima sta cambiando più rapidamente del previsto. È necessario ridurre le emissioni annue globali del 50% entro il 2030 e raggiungere la neutralità carbonica nel 2050. Questi sono i vincoli da rispettare. Efficienza energetica e decarbonizzazione le due dimensioni sulle quali investire.
L’International Energy Agency (IEA) stima che le emissioni di CO2 caleranno dell’8% nel 2020, un crollo senza precedenti dovuto all’impatto dei lockdown sulla domanda di energia. È probabile che chiunque abbia a cuore il futuro del pianeta possa aver provato sollievo di fronte a questa notizia, una sensazione forse simile a quella provata dagli abitanti del distretto di Jalandhar nel nord dell’India, i quali per la prima volta dopo trent’anni hanno potuto respirare aria pulita e ammirare le cime innevate dell’Himalaya. Non bisogna però dimenticare che il calo delle emissioni che stiamo osservando non è il risultato di un’evoluzione strutturale del sistema produttivo e di un modello di consumo più razionale, bensì la diretta conseguenza di una tragedia che ha già ucciso migliaia di persone in tutto il mondo, che distruggerà milioni di posti di lavoro e che sta colpendo duramente la parte più fragile della popolazione mondiale. Un assaggio delle teorie decresciste, suggestive soprattutto a stomaco pieno, per fortuna non più tanto in voga. Il rischio è che con la stessa rapidità con cui le emissioni sono crollate per via della crisi esse possano tornare a crescere con la ripresa economica. Ad esempio, le emissioni calarono di 400 milioni di tonnellate di CO2 per effetto della crisi del 2008/2009 e aumentarono di 1.7 miliardi di tonnellate nel 2010. Questa volta potrebbe andare diversamente, ma dipende in larga parte dalla volontà dei governi.
Fra gli stravolgimenti che la pandemia ha portato con sé, uno è certamente lo spazio che si è creato per l’intervento dello Stato nell’economia – tutti infastiditi dalla sua presenza quando le cose vanno bene e tutti preoccupati per la sua assenza quando le cose vanno male. Volenti o nolenti i governi di tutto il mondo stanno discutendo pacchetti di stimolo nell’ordine dei trilioni di dollari. Tornando alla domanda iniziale (la crisi accelererà o rallenterà la transizione energetica?) la risposta dipende principalmente dalla natura di tali misure di stimolo. Se le misure finalizzate al ripristino del normale funzionamento della società e dell’economia integreranno le dimensioni della transizione energetica, il mondo post Covid-19 sarà senz’altro più green, ma se così non dovesse essere tutto tornerà esattamente come prima. Vedono i rischi, ma soprattutto le opportunità insite nell’intervento dei governi per risollevare l’economia, la IEA e la International Renewable Energy Agency (IRENA), le quali stanno esortando i governi di tutto il mondo a utilizzare gli ingenti pacchetti di stimolo in corso di approvazione per investire nelle nuove tecnologie come l’idrogeno e il sequestro e la cattura della CO2, nel solare e nell’eolico, nell’efficienza energetica e in quelle infrastrutture vitali per la transizione energetica come le reti elettriche. In conclusione, il Covid-19 potrebbe rivelarsi il peggior nemico o il miglior alleato della lotta al cambiamento climatico. Il punto di caduta dipende da noi e dalle scelte che faremo nei prossimi mesi: dalla lungimiranza e dal coraggio della classe politica, dalla consapevolezza dei cittadini e dalla collaborazione del settore privato. Molto presto la società tutta sarà chiamata a risponderne. Fra dieci anni guarderemo alla crisi Covid-19 come un’opportunità persa o come l’inizio di un nuovo capitolo della storia?