E' la peggior crisi di sempre. La politica mostri più coraggio
di Federico Carli
Articolo pubblicato su Il Secolo XIX (14.06.2020)
Spadolini le considerava un’«autobiografia della nazione». Le considerazioni finali con cui, dal 1947, a fine maggio, il governatore della Banca d’Italia riassume fatti, problemi e soluzioni, inquadrandoli in un contesto internazionale, sono letture che aiutano a capire la storia politica, economica e sociale d’Italia. L’incontro tra un editore, Nino Aragno, e due economisti, Pierluigi Ciocca e Federico Carli, ha trasformato quell’autobiografia in un’opera in sei volumi: “La Banca d’Italia e l’economia”.
“L’analisi dei governatori” è una rassegna delle considerazioni finali, una a una introdotte dai due curatori dell’opera, tutti e due legati all’istituto di via Nazionale. Ciocca ne è stato direttore generale dal 1995 al 2006, Carli presiede l’associazione culturale intitolata a suo nonno Guido, governatore per 15 anni e poi senatore Dc e due volte ministro del Tesoro. Ne esce il ritratto di una grande istituzione, non sempre ascoltata dalla politica.
Come nel 1992, anno di Tangentopoli, degli attentati a Falcone e Borsellino, della svalutazione della lira. «Ci ritrovammo - ricorda Carli - nella seconda recessione dal dopoguerra. L’inflazione, nel 1993, era salita al 6%, due punti sopra la media dei paesi della futura Eurozona, quattro punti sopra i paesi più stabili, come Germania e Olanda».
Come reagì Bankitalia?
«Giocando d’anticipo con una politica di restrizione monetaria».
Poi, nel ‘95, ci fu una seconda svalutazione.
«Sì, il deprezzamento della lira accelerò, lo spread col Bund schizzò da 250 a 650 punti base, la riforma pensionistica non parve risolutiva. L’inflazione tornò a correre. Nel 1995, il governatore Antonio Fazio prese l’impegno di piegare l’inflazione già entro la fine dell’estate, e al di sotto del 4% per l’anno successivo. L’anno dopo, l’impegno si fece ancora più stringente. Tra il 1994 e il 1998, l’inflazione scese dal 6% al 2%».
Allora perché, a partire dai primi anni Duemila, ci siamo impantanati in una lunga stagnazione?
«Perché i nostri governi non hanno saputo sciogliere i nodi che la Banca d’Italia segnalava. La politica fiscale e di bilancio non è riuscita a rispondere alle aspettative della società. La Banca d’Italia aveva creato le condizioni per intraprendere le misure necessarie. Il rapporto debito/Prodotto interno lordo era sceso da 120 a 100, la finanza pubblica era tornata in equilibrio. Ma l’economia reale non rispondeva, con una crescita della produttività pari a zero».
Ed è arrivata la crisi del 2008.
«Nel 2008 la Banca Centrale europea, che pure aveva avviato una politica monetaria espansiva, non è riuscita a incidere quanto avrebbe voluto. Il motivo è che la politica monetaria, da sola, non basta. Deve essere affiancata da politiche fiscali di sostegno, come era avvenuto negli Stati Uniti sotto la guida del segretario al Tesoro, Tim Geithner».
Cosa accadde invece in Italia?
«Il contrario di quello che sarebbe dovuto accadere, e non solo in Italia. In Europa gli investimenti pubblici non solo non aumentarono: vennero addirittura tagliati, a cominciare dal paese economicamente più rilevante. La Germania ha tenuto la sua domanda aggregata volutamente bassa, e non ha aiutato l’economia europea. In Italia, l’inflazione è rimasta a livelli molto bassi».
Qual è la lezione per la crisi di oggi?
«La crisi è gravissima, esplosiva, e in Italia incide su un tessuto economico già sfibrato. Tre anni fa, il governatore Visco ha detto che l’Italia stava attraversando la fase economica più difficile mai attraversata in tempi di pace in tutta la sua storia unitaria, non solo repubblicana. Nel 2006 Draghi, davanti all’assemblea di Banca d’Italia, ha detto che l’economia nazionae è insabbiata».
La politica cosa deve fare?
«Oggi le ultime stime dell’istituto per il 2020 parlano di un crollo del Pil del 13%, che significa +6% di disoccupati: un milione e mezzo di persone che perdono il lavoro. Il primo compito della politica dev’essere di sfruttare tutti i mezzi che l’Unione europea le mette a disposizione per sostenere l’industria, in modo non solo assistenzialistico. Una volta risolta questa emergenza, sarà l’ora di affrontare quei nodi strutturali che sono all’origine della nostra ventennale stagnazione».
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