Roma
Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea
Via delle Belle Arti 131

Partecipano
Federico Carli
Antonia Carparelli
Massimo Garavaglia
Fabio Masini
Marco Piantini
Francesco Tufarelli
Giovanni Vetritto
Cristiano Zagari

Modera: Carlo Alberto Morosetti (TG2)

Il libro di Fabio Masini, "Riformare l’euro. Idee e proposte per l’Europa del futuro", propone una disamina storica sull’evoluzione politica del nostro continente e un’analisi delle sfide attuali che siamo chiamati ad affrontare.

Dopo aver presentato la fotografia dei drammatici risultati macroeconomici conseguiti dall’Italia nel periodo 2002-2018, il volume amplia il proprio orizzonte descrivendo i cambiamenti geopolitici intervenuti con la fine del mondo bipolare, in un nuovo contesto di globalizzazione e finanziarizzazione dell’economia. In questo quadro viene ricostruito il ruolo giocato dall’Europa durante una fase di sconvolgimenti planetari, ruolo talvolta interpretato attivamente, orientando gli eventi, talaltra svolto passivamente, subendo gli accadimenti della storia. Il lettore viene condotto a ragionare sull’attualità, in primo luogo attraverso il tentativo di individuazione delle ragioni che stanno alla base dei sentimenti antieuropei di parte della nostra popolazione, in secondo luogo attraverso una proposta di misure per superare la crisi.

Emerge subito una questione di grande importanza, sulla globalizzazione. Il lettore è infatti chiamato a interrogarsi sui nessi che legano globalizzazione, concorrenza e produttività, sui nessi che legano globalizzazione e domanda aggregata, sui nessi che legano globalizzazione e salari. Se le prime due questioni non appaiono in contraddizione con la prosperità del continente europeo, uno studio approfondito meriterebbe la terza questione. Questi tre fasci di forze dovrebbero poi essere esaminati congiuntamente per valutare l’effetto netto di una nuova globalizzazione, diversa rispetto a quella che c’è sempre stata per il diverso peso degli interpreti che agiscono sui mercati internazionali dopo la fine del mondo bipolare.

Emerge la questione della struttura produttiva italiana, della capacità del sistema delle imprese di collocarsi sulla frontiera dell’efficienza e all’interno dei settori trainanti dell’economia mondiale: negli anni Cinquanta e Sessanta, epoca d’oro della nostra economia, entrambe queste condizioni sono state soddisfatte; negli anni Novanta e Duemila, queste condizioni non sono state pienamente raggiunte.

I temi della demografia, dell’ambiente, dell’intensità finanziaria dell’economia sono considerati tra le variabili del problema, che è molto intricato. E’ importante avere a mente la complessità del quadro per capire la dinamica delle crisi dei subprime e dei debiti sovrani, di cui l’Europa ha profondamente risentito.

La soluzione alle sfide che abbiamo davanti deve essere ricercata con pragmatismo, rifuggendo dagli opposti estremismi. Coloro i quali considerano l’Europa come la panacea di tutti i mali e coloro i quali, all’opposto, considerano l’Europa come l’origine di tutti i mali non arrecano un contributo positivo alla fuoriuscita dalla palude. Per esempio, con riferimento ai primi, fare affidamento alla teoria dei mercati perfetti secondo cui l’euro è in grado di generare prosperità per i cittadini attraverso la mobilità dei fattori e la flessibilità dei prezzi rischia di essere un abbaglio politicamente imperdonabile, perché nessuna società può accettare i costi derivanti da trasferimenti di massa del fattore lavoro da un punto all’altro del continente, così come nessuna società può accettare i costi derivanti da una compressione del prezzo-salario per il ristabilimento dell’equilibrio macroeconomico. Con riferimento ai secondi, occorre ricordare che l’euro è una buona moneta, stabile, internazionalmente domandata, che assolve perfettamente alle proprie funzioni (unità di conto, mezzo di pagamento, riserva di valore) e che una rottura dell’euro provocherebbe instabilità, distruzione dei patrimoni e del risparmio, povertà.

I problemi dell’Europa sono la sua governance, il distacco tra cittadini e istituzioni, la confusione tra obiettivi (lo sviluppo umano e il progresso dei popoli) e strumenti (moneta unica, mercato unico, vincoli finanziari, etc...), la carenza di produttività e il vuoto di domanda aggregata che generano disoccupazione, lavori precari e bassi salari.

Occorre innanzi tutto cambiare il linguaggio (divenuto purtroppo ragionieristico-contabile) e tornare a porre al centro della discussione europea i grandi temi della modernità: ambiente, sicurezza, difesa, sviluppo umano (a cominciare dalla lotta alla povertà e alle disuguaglianze, che richiedono innanzi tutto un ritorno alla crescita). Il nuovo linguaggio deve tornare a scaldare i cuori, a dare speranza e fiducia e a creare i presupposti del consenso sociale dell’Europa.

La politica europea deve tornare a fondarsi su cooperazione e sviluppo: produttività (crescita di trend) e domanda devono essere gli obiettivi. Il ruolo della BCE può essere ripensato, ma soprattutto i principi di Bretton Woods possono e devono essere posti a fondamento di una nuova Europa libera dagli errori commessi da intellettuali e politici nei tempi recenti.