Genova
La Claque
Vicolo San Donato, 9
Evento organizzato dall'Associazione Piattaforma Futuro Liguria.
Partecipano:
Federico Carli - Associazione Guido Carli
Luigi Marattin - Commissione Bilancio della Camera
Stefano Parisi - Segretario Nazionale, Energie per l’Italia
Giuseppe Pericu - Soprattutto Europa
Edoardo Rixi - Vice Ministro delle Infrastrutture e Trasporti
Elisa Serafini - Forum Economia Innovazione
Carlo Stagnaro - Istituto Bruno Leoni
Giovanni Toti - Presidente Regione Liguria
Modera: Andrea Castanini - Il Secolo XIX
Il libro collettaneo “Cosa succede se usciamo dall'euro?” curato da Carlo Stagnaro offre un elemento di condivisione su cui, oggi, nessuna forza politica pone obiezioni; presenta tuttavia un elemento di rischio che deriva da due - pur volute - lacune, dovute all'oggetto di analisi prescelto.
La tesi esposta dagli autori, al di là degli strumenti tecnici utilizzati per dimostrarla, è ormai da tutti i partiti (salvo singole figure presenti in quasi ogni schieramento) accettata: "uscire dall’euro non converrebbe a nessun paese dell’Euroarea. Significherebbe inflazione, distruzione di valori patrimoniali e impoverimento per gli italiani, attraverso il deprezzamento della lira (che non ha mai assicurato competitività alle merci made in Italy, se scadenti e costose)" (Ciocca, 2018). Noi ci spingiamo addirittura oltre, poiché la frantumazione della moneta unica "significherebbe deflazione, disoccupazione e impoverimento dei cittadini nella stessa Germania, attraverso una smodata rivalutazione del marco" (Ciocca, 2018). Oltre che per i motivi di pericolo che è possibile intravedere in caso di una crisi irreversibile della moneta unica, riscontriamo ragioni positive per cui non sembra saggio prospettarne la rottura. L'euro è infatti un'ottima moneta: stabile, che assolve perfettamente le sue funzioni (unità di conto, mezzo di scambio, riserva di valore), internazionalmente domandata fino a diventare primaria valuta di riserva che resiste finanche agli irrituali tentativi di svalutazione della BCE.
Tuttavia da questa lettura non emerge quale sia il problema italiano né emerge quale sia il problema europeo, essa rischia di apparire una giustificazione dello status quo e quindi un sostegno a favore di un disegno conservatore. Un'azione di difesa e di rilancio della costruzione europea non può prescindere dall'individuazione delle cause della disaffezione dei cittadini nei confronti - non già dell'euro - ma delle istituzioni di Bruxelles e delle politiche a UE e Stati nazionali adottate negli anni recenti.
Sul piano europeo i principali elementi che generano insoddisfazione sono la mancanza di un governo intelligente e coordinato della domanda globale dell'Eurozona e il deficit democratico, che provoca un distacco tra cittadini e istituzioni del Continente. Sul piano interno la stasi del reddito e dell'occupazione, che perdura da molti anni, suscita incertezza e preoccupazione per il futuro. Occorre innanzi tutto affrontare questi temi e porre in cima all'agenda politica le questioni dello sviluppo umano, economico e sociale delle popolazioni europee per evitare il progressivo disfacimento dell'adesione allo spirito dell'Europa.
La storia spesso può illuminare il presente.
Nel 1978 Federico Caffè pubblicò un articolo intitolato I presupposti del consenso sociale, da cui è possibile estrarre alcuni passaggi molto attuali. Il consenso sociale è uno sforzo di persuasione che richiede l'individuazione di elementi positivi e propulsivi, che non può essere costruito soltanto attraverso la minaccia allarmistica delle conseguenze derivanti dall'adottare o meno determinati comportamenti che afferiscono a vincoli formali su particolari variabili-simbolo. Il consenso sociale va ricercato con altri argomenti e non semplicemente determinando allarmismo economico. In questo senso "il nostro apporto deve essere libero dal timore che la critica dei metodi seguiti esponga all'accusa di antieuropeismo" (G. Carli, 1973) e forse una lunga gestione di politica economica pur meriterebbe una qualche linea di autocritica ai fini della ricostituzione della piena adesione popolare alla costruzione europea. "In altri tempi, Trilussa suggeriva di "pulire il gallinaro". Oggi chi sommessamente dice la stessa cosa, nel timore che il gallinaro esploda, rischia di essere considerato come un ingenuo che si presta solo a essere strumentalizzato per fini di bassa strategia politica, se non a essere addirittura considerato come un fautore dell'esplosione" (F. Caffè, 1978).
Oggi "il dibattito è insterilito dalla antitesi infeconda tra la posizione che possiamo definire tecnocratica, che continua a mirare alle riforme strutturali e alla disciplina di bilancio, e le varie intonazioni del populismo nazionalistico, che indicano nelle politiche europee e nella globalizzazione le cause del disagio sociale e delle ineguaglianze che colpiscono in varia misura i paesi europei" (A. Baffigi, 2018).
"Concorrere ad allargare il dibattito sulle materie accennate risponde alla convinzione che esso non sarà stato inconcludente, se avrà contribuito a diffondere la certezza che la scelta europea è irrevocabile, non soltanto perché deriva dagli impegni assunti, ma soprattutto perché risponde ad una diffusa aspirazione della comunità nazionale. Nel Risorgimento l’ideale europeo si è intrecciato intimamente con il moto di conquista dell’unità nazionale, così che i due motivi non sono sentiti come contrastanti, ma quali momenti di un unico processo tendente all’affermazione di una comunità culturalmente omogenea. Le vicende dei decenni più recenti hanno dato a quella che nel secolo scorso poteva apparire una visione utopistica un contenuto di urgenza, così che il raggiungimento dell’unificazione europea è considerato un evento indispensabile per la sopravvivenza stessa dei valori ai quali si ispirano gli ideali nazionali" (G. Carli, 1973).
Solo recuperando una capacità di analisi complessiva e critica sarà possibile avviare un nuovo dibattito progressivo, a beneficio dei popoli d'Europa.

