Sfide e opportunità dell’era digitale

di Flavio Palumbo

Produttività in dati: Italia, Usa e Ue

La produttività è uno dei maggiori indicatori per misurare la capacità di trasformare le risorse economiche in beni e servizi, attraverso il rapporto tra gli output del processo produttivo e i mezzi impiegati per realizzarlo. Ciò che incide profondamente è l’efficienza cioè l’aderenza agli standard ottimali e il progresso tecnologico tramite cui variano le capacità tecniche che influenzano il rendimento finale dell’entità economica. È considerato l’indicatore per eccellenza della crescita economica e della competitività per la valutazione della performance economica sul piano internazionale. Tenendo in considerazione la produttività totale dei fattori, rapporto tra l’indice di volume del valore aggiuntivo e l’indice di volume dei fattori primari, vengono valutati gli effetti degli elementi propulsivi della crescita quali: innovazioni, miglioramenti nell’organizzazione e dei metodi manageriali e aumento del livello di istruzione. Nel nostro paese, secondo i dati ufficiali riportati nella Relazione annuale della Banca d’Italia, la PTF registra una variazione dello 0,2% dal 1996 al 2007, ancora minore è il dato che riporta la variazione -0,1% tra il 2008 e il 2019. Maggiormente preoccupante è l’elaborazione sui dati per il periodo tra il 2020-2022 in cui la PTF si attesta allo 0,0%. La produttività è stagnante e l’apporto della tecnologia sull’economia è pressoché nulla. 

Nella prospettiva statunitense, l’economista Robert Gordon ha mostrato che nel periodo compreso tra il 2004 e il 2014 la variazione della produttività totale dei fattori si attesta al di sotto dello 0,5% annuo, il che mostra come l’impennata avvenuta tra il 1994 e il 2014 si sia trasformata nel periodo successivo in crescita estremamente bassa.

Nel periodo 1995-2018, la crescita media annua della produttività del lavoro in Italia è stata inferiore a quella dell’Ue28 (1,6%), dell’Ue15 (1,3%) e dell’area Euro (1,3%). Il divario rispetto alle altre economie europee è risultato particolarmente rilevante in termini di crescita del valore aggiunto tale che in Italia, nel periodo 1995-2019 è stata dello 0,7%, assai inferiore a quella media della Ue28 (1,9).

Nel contesto della Cina, la velocità del tasso di crescita, la stabile situazione occupazionale, l’avanzo commerciale, il Pil cresciuto ad un tasso medio annuo del 9,5 % dal 1979 al 2017, presentano un processo totalmente inverso rispetto alla realtà occidentale. È la più grande economia al mondo i cui dati dimostrano che dal 2000 gli incrementi della produttività sono costanti grazie al progetto di sviluppo di lunga durata dell’innovazione tecnologica in tutti i settori produttivi.

Il paradosso della produttività

Risulta evidente che l’impatto dell’introduzione delle nuove tecnologie non abbia portato agli effetti sperati nelle più vaste e sviluppate economie.  A confermare il fatto che in Italia la digitalizzazione non abbia diffuso il suo potenziale è l’indagine dell’Istat relativa alle statistiche “Inward e Outward” e il report elaborato dall’OCSE per il monitoraggio e l’evoluzione delle competenze digitali in Europa, il cosiddetto “Skills Outlook Scoreboard”. I parametri su cui sono misurati tali fattori pongono il focus su tre aspetti principali: esposizione digitale, competenze e politiche rilevanti sui primi due aspetti. In modo particolare lo Skills Outlook Scoreboard 2019 dell’OCSE mostra che la popolazione italiana non possiede le competenze di base necessarie per prosperare in un mondo digitale. Solo il 36% delle persone è in grado di utilizzate in maniera complessa e articolata Internet, il dato è tra i più bassi della classifica OCSE.

 Queste statistiche sono fondamentali proprio perché il paradosso di cui si discute trova le fondamenta da questo tipo di carenze. Su base teorica i vantaggi della digitalizzazione sembrano assicurati ma, per essere tangibili, i benefici devono poggiare su un sistema interno consolidato dalle best practices, stabile e con le adeguate high skills. Affinchè questo si realizzi, bisogna concentrarsi sull’integrazione tra uomo e digitalizzazione, un legame perfetto deve insturarsi tra la potenza informatica e le capacità umane di problem solving. A tener d’occhio la situazione italiana è stata lo scorso luglio l’ONU con l’indagine sull’e-government improntata al monitoraggio comparativo tra paesi in merito alla digitalizzazione dei servizi pubblici. Dato allarmamente è che l’Italia degli ultimi due anni ha perso posizione nell’e-government development Index. L’Italia si trova al ventiquattresimo posto e rischia di diventare il paese meno competitivo sotto questo punto di vista anche perché gli altri paesi, come la Cina stanno mettendo in campo i migliori sistemi informatici: dalla creazione all’implementazione di quest’ultimi all’interno dei propri servizi. Se fino ad oggi si è parlato di dipendenza energetica come settore che incide sulle relazioni commerciali tra gli Stati, oggi lo stesso discorso può configurarsi come dipendenza tecnologica. Basti pensare alle pressioni internazionali sul 5G Huawei o altri software sviluppati dalle aziende high-tech cinesi, in contrasto con la Silicon Valley. Il problema risiede nel fatto che digitalizzare senza avere infrastrutture adatte alla logistica moderna, tecniche organizzative corrispondenti, personale competente e burocrazia semplificata può scatenare gli effetti negativi che finora si sono registrati.

Le sfide della trasformazione digitale oggi

Durante la pandemia l’attenzione verso il digitale è diventata prioritaria e si configura come una necessità proprio perché ha permesso il lavoro, lo studio, l’elaborazione di enormi numeri di dati sanitari e raccolti in tempo reale, ha contribuito al coordinamento tra i vari enti istituzionali e regionali, ha garantito la distribuzione di beni e servizi da parte di imprese e settori pubblici. Oggi la portata della digitalizzazione in possesso all’interno di un paese corrisponde alla ricchezza di quella nazione, è l’oro del sistema economico. Ampie e rilevanti argomentazioni sono sorte intorno al motivo secondo cui la quarta rivoluzione tecnologica non sia riuscita a dare quel grado di sviluppo auspicato. Le ipotesi sull’impatto negativo della crisi del 2008 sono state rifiutate a priori da molti studi che affermano come il rallentamento della produttività era già in procinto d’essere,  l’espansione di attività difficili da misurare come scambio di dati, beni intangibili in cui si inserisce il tema delle monete virtuali era molto accreditata come spiegazione ma la dimensione delle misurazioni di quest’ultimi non è cosi imponente da cambiare significativamente la produttività. Ciò che sembra aver realmente rallentato il sistema produttività-progresso informatico è il processo di diffusione e adozione delle nuove tecnologie non adatto e spesso obsoleto.

Dal punto di vista degli attori che dominano il settore del digitale, dagli studi di Valeria Termini, Ignazio Musu e Pierluigi Ciocca si evince che la stessa natura globale dell’accesso all’informazione fa sì che chi è capace di offrire l’innovazione di migliore qualità possa e debba catturare l’intero mercato. Inoltre, le imprese esistenti, soprattutto se di grande dimensione e già abituate ad agire con profitti sul mercato globale, possono rendere difficile, se non impossibile, l’azione indipendente dell’innovatore. Per tali motivi la sfida per i governi nazionali risiede nel superare queste criticità e nel garantire al proprio paese l’accesso alle migliori tecnologie, riuscendo a sviluppare sistemi interni che possano competere senza subire l’influenza dei grandi sviluppatori. 

L’esempio cinese

Shenzhen, smart city della Cina, è il massimo esempio da cui comprendere la relazione progresso tecnologico- produttività: grazie alle 46000 antenne per la trasmissione del segnale 5g è stata tra le poche città al mondo ad accrescere il proprio Pil (0,1%) durante la pandemia. L’intera provincia del Guangdong, di cui fa parte, nel 2019 ha creato Pil per 387 miliardi di dollari, secondo uno studio condotto da Ericsson. Si rivela tra le zone a più larga crescita economica del mondo che riesce a coniugare sviluppo, innovazione e alti margini di profitto con lo sguardo al futuro. Menzione deve esser fatta al contesto della guerra commerciale e tecnologica con gli USA alla quale la Cina vuole rispondere con l’autosufficienza tecnologica cioè sostituire hardware, software e prodotti stranieri con quelli esclusivamente home-made. Inoltre, è interessante ciò che è avvenuto negli ultimi giorni: la Cina ha lanciato un satellite 6g che fornirà connessioni 100 volte più veloci del 5g. Leggere di Shenzen e provare ad immaginare iniziative di questo tipo in Italia non deve essere un pensiero utopico. In effetti, qualcosa su cui l’Italia può contare è la tecnologia Blockchain, il registro digitale delle transazioni memorizzate che può essere utilizzato per gestire al meglio la catena di approvvigionamento in particolare per i documenti e i dati conservati e scambiati senza necessità di eseguire copie elettroniche tra mittente e destinatario. Tali valutazioni hanno origine dal rapporto OCSE, commissionato dal MISE, per monitorare la situazione delle PMI sull’introduzione di questa tecnologia nel mercato italiano. Lo studio ha condotto al risultato secondo cui la blockchain in Italia stia crescendo. L’economia italiana, prevalentemente orientata all’esportazione con l’enorme valore del Made in Italy trarrebbe un grosso benefico dalla sicurezza e tracciabilità della blockchain. L’adozione di questo tipo di tecnologie digitali che possono migliorare la produttività delle aziende ha posto sotto l’attenzione la necessità di risolvere i problemi di base: recepimento delle tecnologie digitali e il tipo di connessioni in uso sono il trampolino di lancio dell’innovazione, ma ulteriormente indispensabile è l’elevata competenza dei lavoratori. Su quest’ultimo elemento bisogna porre le fondamenta per guardare al futuro delle tecnologie e integrarle al sistema produttivo. Ci si soffermerà in particolare alla trasformazione digitale del settore pubblico.

Possibili azioni nel settore della pubblica amministrazione

Affinché la digitalizzazione diffonda il suo potenziate positivo bisogna agire trasversalmente all’interno dei maggiori settori pubblici e privati. In quest’ottica le strategie innovative vanno implementate in maggior misura: nell’amministrazione finanziaria, nel sistema giudiziario e nell’istruzione. L’accesso alla banda larga, la sicurezza delle infrastrutture critiche (cybersecurity), l’evoluzione dei pagamenti elettronici, la maggiore comunicazione a livello territoriale delle novità tecnologiche accessibili ai cittadini e la dematerializzazione risultano essere i fattori propulsivi delle possibili azioni concrete di cui oggi si parla spesso: e-Invoicing, e-Justice, e-School, e-Health. Digitalizzare la PA racchiude in sé la necessità di semplificare, snellire le procedure che rendono il meccanismo ormai superato. Tagliare certi passaggi, adempimenti, modulistiche dovrebbe essere realizzato in modo da non provocare danni che possano incidere sul controllo e sulla sicurezza degli atti, per questo motivo è bene parlare di modifica delle procedure. L’obiettivo è di renderle rapide, semplici ed economiche. Superare le difficoltà e i ritardi della macchina statale è possibile attraverso il perfezionamento dei datacenter pubblici, il centro di elaborazione dati con server, storage, il cosiddetto cervello elettronico della nuova PA, in modo da creare network veloci e sicuri con al centro le persone che richiedono i servizi. Migliorare la sicurezza della rete è un ulteriore passo da compiere con l’utilizzo di nuovi software e cloud in modo tale che venga garantita l’efficienza nelle operazioni soprattutto dello smart working. Con questi accorgimenti di base si realizzerebbe una PA più vicina alle istanze dei cittadini, con servizi moderni che creerebbero un effetto domino nella creazione di una società che sappia sfruttare il digitale. Grossi passi avanti sono stati fatti rispetto a queste idee grazie agli incentivi, agli investimenti e all’elaborazione di nuove normative correlate. Un esempio da prendere in considerazione è il Giappone, il cui ministro delle Riforme amministrative ha iniziato un progetto di dematerializzazione con l’eliminazione totale della carta, la quale tende a rallentare lo sviluppo delle operazioni amministrative, e nello specifico la proposta è l’eliminazione di fax, timbri, sigilli. Semplificazione non è sinonimo di dare minore importanza e non deve tradursi nell’attribuire minor valore alla pubblica amministrazione, che svolge un ruolo chiave di controllo e sicurezza per la macchina statale. Per ciò che concerne il sistema giudiziario e l’informatizzazione molto è stato fatto nel settore civile ma molte lacune esistono per il penale. Un’azione possibile è la diffusione del processo civile telematico (PCT) con le consultazioni online del fascicolo processuale, l’incremento dell’attività di comunicazione telematica con gli uffici giudiziari, il pagamento telematico del contributo unificato, la telematizzazione dei servizi del Giudice di pace e dell’UNEP, il potenziamento del registro penale informatizzato, la digitalizzazione della gestione documentale e delle notifiche. Nell’ambito dell’amministrazione finanziaria, è necessario incentivare la fatturazione elettronica che permette controlli fiscali semplificati, combatte l’evasione fiscale, e per cui utilizzo lo Stato prevede agevolazioni che consentono di ottenere maggiori sgravi fiscali. Sarà qui importante creare una rete di controllo che monitori l’avanzamento e l’attitudine alla fatturazione elettronica. In ambito sanitario l’e-Health con la diffusione della cartella clinica digitale e delle ricette potrebbe voler dire funzionalità superiore per tutti gli operatori e le strutture ospedaliere e assistenziali. Il tema più esposto, necessariamente sotto gli occhi di tutti, e che si è trovato a dover fare un balzo in avanti che avrebbe realizzato in chissà quanti anni è stato quello della didattica. I mesi trascorsi, pieni di contraddizioni dovute all’inesperienza, alle difficolta di adeguamento alla nuova situazione e alla carenza di mezzi e risorse materiali hanno causato malcontenti e dibattiti molto accesi. I lati positivi da cogliere sono: la prerogativa all’ammodernamento scolastico, gli incentivi per garantire sistemi informatici efficienti a studenti e strutture scolastiche. La prerogativa è investire in ricerca e formazione del capitale umano, che in Italia, è caratterizzato da gravi carenze in ITC skills. Non bisogna farsi trovare impreparati, introdurre i corsi di informatica che nel corso degli anni andranno poi integrati e adeguati agli sviluppi generali in atto è un processo di primaria importanza. La cultura digitale registra una insufficienza troppo evidente e tangibile, stimabile come causa del rallentamento del nostro paese.  Integrare la cultura digitale e i moduli sull’utilizzo delle piattaforme online, delle standard applications, dalla scuola primaria agli insegnamenti universitari è indispensabile. Promuovere iniziative extra-didattiche improntate alla conoscenza informatica è il corollario. Tale bisogno è evidente perché nel futuro ognuno di noi dovrà adattarsi alle necessità dell’informatizzazione, in qualsiasi tipo di lavoro ci sarà una componente legata al digitale. La tecnologia avanza molto più velocemente delle capacità umane, la necessità è l’integrazione, per cui solo se il capitale umano sarà in grado di operare insieme alle tecnologie si colmerà la disparità e si potrà mantenere l’importanza del lavoro umano che rischia altrimenti di subire la sostituzione dai lavori meno ai più qualificati. Uno dei temi su cui si discute maggiormente è sempre stato il rischio della disoccupazione tecnologica a cui bisogna rispondere stabilendo sinergie col mondo digitale, in modo tale da realizzare un matrimonio perfetto in cui uno non esclude l’altro ma vi sia il bisogno reciproco di funzionamento. Il “thinking out side the box” va adattato alla digitalizzazione, le implicazioni sociali della digitalizzazione devono essere superate con resilienza proprio perché la prospettiva di cambiamento è in atto e bisogna subito colmare le difficoltà. Iniziare a preparare la generazione del futuro in maniera funzionale alla trasformazione digitale vuol dire mettere in prima linea i cittadini in maniera tale che possano volgere lo sguardo in avanti in maniera consapevole, duratura, razionale e valida.

FLAVIO PALUMBO.

SITOGRAFIA

https://www.istat.it/it/files//2020/11/Report_MISURE_PRODUTTIVITA_1995_2019.pdf

https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/relazione-annuale/2019/index.html

https://www.oecd.org/italy/Skills-Outlook-Italy-IT.pdf

https://www.apertacontrada.it/2016/11/03/valeria-termini-perche-leconomia-stenta-a-crescere-il-capitalismo-digitale-e-dei-servizi/

https://www.apertacontrada.it/2016/09/22/una-nota-sugli-effetti-economici-delle-tecnologie-digitali/

https://www.apertacontrada.it/2016/12/12/produttivita-o-occupazione-un-falso-dilemma/