Recensione del saggio “Il Personalismo Liberale di Wilhelm Röpke. Una riflessione a margine dell’analisi di Massimo Baldini sull’economia sociale di mercato”.

di Francesca Dessalvi

Nel suo saggio “Il Personalismo Liberale di Wilhelm Röpke. Una riflessione a margine dell’analisi di Massimo Baldini sull’economia sociale di mercato” il Professor Flavio Felice ripercorre toccando i punti più salienti il pensiero di Wilhelm Röpke, facendo riferimento agli insegnamenti del maestro Massimo Baldini. Riscoprire la figura di Röpke è rilevante per continuare a riflettere sui problemi etici connessi all’economia di mercato, a cui l’economista dedicò gran parte del suo lavoro.

Il pensiero di Röpke si sviluppò in primo luogo in chiave critica al neoliberismo. Questa dottrina economica per l’economista non doveva guardare con ostilità allo Stato, ma accettare la sua funzione interventista, integrando all’interno della dimensione del mercato anche una sfera politica, sociale e morale. Inoltre, contrario all’omogeneizzazione delle realtà politiche e al crescente affievolirsi del senso di comunità, Röpke era convinto che una riscoperta morale fosse il passo principale da compiere per raggiungere la vera libertà, partendo da quella economica. Infatti, una società basata solamente sull’efficacia del sistema economico, era destinata all’autodistruzione. Risultava quindi per lui inevitabile tenere conto anche delle conseguenze che il governo dell’economia poteva avere sulla popolazione.

La visione che Röpke condivideva con altri economisti ordoliberali, era quella di sviluppare una terza via che si collocasse tra il liberismo più integrale, che lasciava libertà autonoma di aggiustamento al mercato, e il collettivismo socialista.  Era necessario per lo studioso costituire un quadro legale ed istituzionale che permettesse di garantire un corretto funzionamento della concorrenza, questo era il presupposto di fondo per ogni società che potesse essere definita libera. Ma un quadro legale comune, per poter essere messo in atto, doveva implicare contemporaneamente un codice morale largamente condiviso, che influenzasse e quindi governasse, le azioni pubbliche e private.  

Il professor Felice riporta nella sua analisi due punti su cui concentrarsi per capire le principali peculiarità dell’interventismo liberale di Röpke, il primo è appunto la concezione di conformità dell’intervento statale. 

L’intervento pubblico deve essere limitato ad azioni conformi alle leggi di mercato che non ne sopprimano l’autonomia. Röpke non condivideva l’idea che si potesse distinguere tra liberismo economico e la teoria più generale del liberalismo in campo politico e sociale, infatti, non è possibile concepire un sistema funzionante nel lungo periodo che non coniughi la libera economia di mercato con istituzioni politiche liberali. Il concetto di libertà è indivisibile, non può essere limitato alla sola sfera economica, ma oltre ad essa, deve includere la libertà spirituale e quella politica, dalle quali essa non può essere distinta, essendo le ultime due una condizione necessaria perché la libertà possa compiersi.

Il mercato deve varare delle regole ed è necessario che qualcuno che vigili su di esse, ruolo che Röpke ritaglia per lo Stato. Allo stesso tempo però gli interventi non devono essere imposti. Essi devono essere opportuni, conformi e inquadrarsi all’interno di un ordine di mercato senza intralciarlo e distruggerne i meccanismi di funzionamento, ma anzi contribuendo a migliorarlo. Lo Stato deve quindi essere responsabile sia verso sé stesso, in quanto deve essere capace di imporsi dei limiti, ma allo stesso tempo anche responsabile nei confronti dei cittadini, riconoscendo il coinvolgimento delle parti interessate. 

Il secondo punto importante che viene evidenziato, è la differenza tra interventi di conservazione e interventi di assestamento. Lo Stato deve intervenire nelle crisi di assestamento del mercato con lo scopo di facilitare il raggiungimento dell’equilibrio e limitare il più possibile le difficoltà. Bisogna trovare nuove strade attraverso piani di trasformazione e non lasciare i rami di produzione colpiti e costretti a trovare nuove occupazioni autonomamente. Dato che l’economia di mercato non può da sola risolvere le complesse problematiche sociali, bisogna risolvere anche i problemi che si pongono al di fuori dell’ordine economico. Esso deve integrarsi negli altri da cui dipende il successo dell’economia di mercato e che contemporaneamente la supportano. 

Studiare economisti come Röpke è il tentativo di ricercare all’interno dell’idea di liberalismo un assetto politico istituzionale che sia sensibile anche alla sfera sociale dell’ordine economico. È importante riflettere su quale ruolo lo Stato debba svolgere e allo stesso tempo l’importanza che il cittadino singolo ha all’interno di un sistema economico e statale. È il diritto di quest’ultimo che limita lo spazio dell’azione statale, spetta dunque ad uno Stato sano intervenire senza danneggiare il cittadino. Uno Stato consapevole del suo ruolo conosce i suoi limiti, riuscendo ad autoimporsi le restrizioni necessarie per conservare la sua sanità, e allo stesso tempo intervenire quando è necessario.  

Il liberalismo per Röpke è umanistico. Lo sviluppo economico, come afferma l’economista, dovrebbe permettere all’uomo di svilupparsi a tutto tondo. Nella sua concezione di liberalismo, il singolo deve trovare la libertà attraverso la dedizione alle proprie attitudini, ed il sistema economico e sociale deve permetterglielo.

L’economia sociale trova il suo equilibrio nelle regole che impediscono alla brama dei privati di avere la meglio sulla concorrenza e viziarne il lavoro. È soprattutto per questo motivo che Röpke suggerisce che la sfera economica si sviluppi in un livello umano, basandosi sul tessuto sociale delle piccole e medie imprese. L’economista auspica l’imposizione di regole e meccanismi che limitino l’insorgere di monopoli, contemporaneamente ad un controllo del mercato per assicurare una sana concorrenza, e una applicazione ristretta del principio di sussidiarietà. 

Importante riscoprire in questi tempi di crisi un senso di comunità e di generosità. Infatti, la pandemia del Covid ha dimostrato come sia facile ricadere in comportamenti egoistici e personalistici guidati dal bene del singolo invece che dall’interesse generale, e le derivanti conseguenze negative che questi possono avere per l’economia. 

L’economia sociale di mercato nei termini di Röpke non può essere messa in pratica in assenza di un forte corredo morale, senza il contributo proveniente dalla tradizione, dalla religione e da un rinnovato senso di comunità.  Lo Stato ha l’obbligo di intervenire nella sfera economica e nella sfera non economica per assicurare le condizioni etiche e sociali sulle quali si basa una concorrenza efficace. Ma soprattutto, un’economia di mercato soddisfacente e adeguata non può generarsi dall’assenza di intervento, per essere messa in pratica necessita di uno sforzo collettivo e di fatica. Un lavoro comune che richiede collaborazione e necessità di interventi mirati per il benessere della collettività, sia a livello nazionale che internazionale.