Mezzogiorno, il grande dimenticato

Recensione del saggio ‘Il grande dimenticato. Il Mezzogiorno dalla fine dell'intervento straordinario alla Grande Recessione’ di Antonio Martino

di Francesca Dessalvi

Problemi strutturali mai superati, trent’anni di declino economico iniziato negli anni Novanta, una lunga recessione durata più di sette anni, carenza di infrastrutture e piani industriali inefficienti, a cui si aggiungono le previsioni di ulteriori perdite economiche portate dalla pandemia, hanno messo notevoli pressioni sul sistema economico nazionale accentuando l’irrisolta questione del Mezzogiorno.

Quale ruolo resta quindi allo Stato per assicurare uno sviluppo sostenibile e migliorare le condizioni della regione in un territorio che è sempre stato caratterizzato da un susseguirsi di soluzioni poco efficienti? Il saggio di Antonio Martino ‘Il grande dimenticato. Il Mezzogiorno dalla fine dell'intervento straordinario alla Grande Recessione’ riflette su questo quesito. Attraverso un excursus storico che tocca le principali tappe della storia italiana, dal periodo di poco antecedente l’Unità d’Italia fino alla crisi finanziaria del 2011, l’analisi spiega come interventi poco mirati, la sottovalutazione delle risorse che un Sud sviluppato avrebbe portato al Paese, inadeguate politiche industriali e di sviluppo assieme a decisioni economiche controproducenti, hanno contribuito negli anni ad accentuare le divisioni tra le due aree d’Italia, mentre nella parte conclusiva vengono offerte alcune soluzioni per poter invertire questa tendenza verso il declino.

Le prime divisioni tra Nord e Sud iniziarono a marcarsi poco dopo l’Unità d’Italia. Fattori strutturali come importanti differenze sociali, l’organizzazione para-feudale al tempo ancora vigente nelle campagne, assieme a decisioni economiche protezionistiche e alti dazi sui prodotti agricoli, e una inadeguatezza di fondo delle infrastrutture, iniziarono a definire una divergenza mai colmata. Svantaggi di partenza che tuttora segnano le differenze produttive ed economiche tra le due parti d’Italia.

La cecità dei governi nello stimare l’entità dei problemi reali del Meridione non solo ha contribuito a peggiorarne la performance economica, ma ha anche favorito il proliferare di meccanismi come il brigantaggio, dando vita a organizzazioni che continuano a impoverire il territorio e a segnare il vissuto dei cittadini, alimentando un’evoluzione istituzionale corrotta.

Solo nel secondo dopoguerra si videro i primi interventi di successo nel territorio del Sud, merito anche dei finanziamenti dell’European Recovery Plan. Venne istituita la Cassa del Mezzogiorno e innovativi interventi statali abolirono la superata struttura produttiva del latifondo. Periodo di ripresa che verrà interrotto negli anni Settanta da due shock petroliferi e dalla conseguente crisi economica, segnando il tramonto del Meridionalismo.

Le quote di finanziamenti statali iniziarono quindi a ridursi, gli aiuti verso il Sud si trasformano in mero assistenzialismo, fino ad arrivare alla chiusura della Cassa per il Mezzogiorno a metà degli anni Ottanta. Senza impegni economici concreti, tutta la regione meridionale perse quello che rimaneva della sua forza attrattiva. La situazione continuò ad aggravarsi in seguito agli interventi del ‘92 volti a garantire l’ingresso della lira nella banda stretta dello Sme e successivamente nell’area euro. I sacrifici richiesti dal Governo contribuirono a far arretrare il reddito, segnando una caduta della creazione del valore aggiunto e un periodo di recessione.

Contemporaneamente, il Mezzogiorno venne lentamente escluso dall’attenzione nazionale. A fine anni Novanta, il declino del sistema bancario del Sud e l’aumento del ruolo delle Regioni, che limitò lo spazio per l’intervento statale e che non fu accompagnato dalla creazione di una forza propulsiva dotata di visione e risorse a livello locale, indebolirono ulteriormente il già fragile tessuto produttivo, sociale ed economico del Meridione, rendendo il Sud particolarmente vulnerabile alla crisi del 2011: i sostegni pubblici al reddito e al consumo diminuirono, il Pil a causa di aumenti di tassazioni e tagli alla spesa registrò una pesante riduzione, i consumi e la domanda crollarono e poiché mancavano gli investimenti necessari per sostenere le realtà industriali, le perdite registrate al Meridione furono più grandi rispetto al resto del Paese.

La mancanza di possibilità occupazionali, l’endemica carenza di strutture adeguate e servizi efficienti, la difficoltà di realizzare un tessuto industriale forte e competitivo e il progressivo venir meno di interventi statali in settori di interesse strategico hanno provocato il lento decadimento del territorio. Il disimpegno dello Stato dall’intero Mezzogiorno – visualizzabile, per esempio, con la chiusura delle filiali della Banca d’Italia e di numerosi uffici pubblici in città che già soffrivano per una situazione di abbandono da parte dell’autorità statale – ha sancito la definitiva marginalizzazione del Meridione.

Come emerge dalle conclusioni dell’autore, per invertire le sorti del Mezzogiorno, sarebbe necessario dare vita a un processo autonomo di sviluppo, che ravvivi il tessuto sociale ed economico. È ormai impensabile per il Sud riuscire a risollevarsi facendo leva solo sulle proprie forze: gli interventi statali sono fondamentali e necessari per dare il via a uno sviluppo sostenibile e mirato che non si limiti a semplici finanziamenti assistenziali. Un rinvigorito ruolo dello Stato nel Mezzogiorno potrebbe portare vantaggi al Paese intero. L’impresa deve essere il motore del rinnovato slancio, lo Stato ha il dovere di creare le condizioni affinché ciò accada.

Martino offre alla nostra riflessione soluzioni drastiche che collegano ripresa degli investimenti pubblici, aumento e stabilizzazione dell'occupazione e modernizzazione delle infrastrutture alla salvezza del Mezzogiorno e dell’intero Paese.

Dalle proposte emerge la necessità di una risposta governativa concreta e radicale. Occorrono politiche adeguate che restituiscano una forza produttiva autonoma al Mezzogiorno, un serio ripensamento delle strategie adottate finora. La politica europea e italiana dovrebbe leggere il saggio di Antonio Martino e trarne qualche spunto di riflessione utile per innescare una nuova azione di sviluppo.