Progetto ‘80

di Roman Mengoni

L'Italia degli anni Sessanta era nel pieno di uno sviluppo socio-economico vigoroso e tumultuoso, in quella temperie - contraddistinta da una forte tensione verso il progresso - nasce il Progetto 80.

 Il Progetto 80 è il Rapporto preliminare al secondo programma economico nazionale per il quinquennio 1971-75, elaborato in Italia presso il Ministero del Bilancio e della Programmazione Economica tra il 1969 e il 1971 nella cornice dei governi di centro-sinistra e del riformismo che hanno caratterizzato quegli anni. Il Progetto 80 si sostanziava in una classificazione del territorio nazionale in comprensori di livello: A, sviluppati, B, passibili di sviluppo e C, con nessuna possibilità di sviluppo; delegava alla mano pubblica e alle grandi imprese la pianificazione del territorio; e, fu recepita anche dalle Regioni, con i comprensori, con gli studi sulle regioni economiche, le regioni agrarie e l'istituzione delle comunità montane e dei distretti sanitari. 

 Il Progetto 80 era fondato sul concetto di “pianificazione strategica“, quell’attività con la quale lo Stato programma le proprie politiche pubbliche nell'arco temporale di 5-10 anni, mettendo in campo una visione articolata e coerente circa l'utilizzo e lo sviluppo delle risorse della Nazione.

 Cosa rimane del Progetto 80 nell'attualità politica? Hanno ancora un qualche significato le proposte racchiuse in quel documento, in una fase storica completamente diversa, e in assenza della pianificazione territoriale (che si concretizzava con i Ministeri delle Partecipazioni Statali e del Mezzogiorno, la Cassa per il Mezzogiorno, l'Isvmez e l'IRI)?

Per rispondere a queste domande abbiamo riletto il documento e ne presentiamo una sintesi.

INDICE DEI CONTENUTI

PROSPETTIVE PRELIMINARI

TENDENZE ALLO SVILUPPO ECONOMICO NAZIONALE DEGLI ULTIMI 13 ANNI 

LA STRATEGIA DEI PROSSIMI ANNI DI SVILUPPO

LE DIRETTIVE PER I PROGETTI SOCIALI

DIRETTIVE PER L’AMMODERNAMENTO/RIEQUILIBRIO TERRITORIALE DELL’ITALIA

DIRETTIVE PER L’INTEGRAZIONE ECONOMICA NAZIONALE

QUADRO ISTITUZIONALE E RIFORMA DELLE ISTITUZIONI

APPENDICE AL RAPPORTO PRELIMINARE AL PROGRAMMA ECONOMICO NAZIONALE 1971-1975

CULTURA E PROGRESSO CIVILE

PROBLEMI DI LAVORO

SICUREZZA SOCIALE

AMBIENTE NATURALE E URBANO, COMUNICAZIONI E TRASPORTI

NUOVE TECNOLOGIE E SVILUPPI

1. PROSPETTIVE PRELIMINARI

 Prima di tutto va precisata la posizione dell’Italia nell’economia mondiale. Dato il crescente volume di commercio internazionale, di cui l’Italia rappresenta uno snodo particolarmente importante (L’Italia all’epoca accoglieva nei suoi porti il 10% del traffico marittimo mondiale; oggi la percentuale si è abbassata).

 L’Italia, seppur mostrando un ritardo nello sviluppo (tecnologico, educativo e organizzativo) rispetto agli altri paesi dell’Europa occidentale, ha ora in parte recuperato tali mancanze, e si trova in una posizione favorevole, al centro degli scambi intra ed extra europei. Per questo motivo, una delle massime direttive di sviluppo in questi anni dovrà essere l’Europa, senza i cui mercati l’Italia non può pensare di vendere i suoi prodotti. Il Paese dovrà dunque attenersi alle direttive ambientali ed economiche dell’Europa e influenzare il processo di liberalizzazione degli scambi dall’interno.

 L’Italia deve anche agire da grande potenza industriale, e aiutare i paesi in via di sviluppo, non solo per motivi morali, ma anche di convenienza a lungo termine. Gli aiuti non si dovranno limitare all’assistenza, ma devono includere fondi strutturali di sviluppo. Il futuro dei mercati italiani si fonderà dunque sugli scambi con i nuovi paesi emergenti dell’Africa e Asia.

Allo stesso tempo, l’Italia dovrà sforzarsi di alleviare quelli che sono i problemi sociali al suo interno. Primo tra tutti è necessario risolvere la questione dell’istruzione, carente per quantità e qualità, e il problema delle pensioni. In secondo luogo si deve pensare ad eliminare il divario economico interregionale, in particolar modo il divario tra nord e sud. Questo dovrà svolgersi non più attraverso mera assistenza finanziaria (sussidi), ma attraverso concreti piani di investimento e sviluppo. 

Le politiche ambientali dovranno essere revisionate, in quanto sostanzialmente carenti e sorpassate da interessi economici di breve e brevissimo termine. È dunque necessario pianificare la politica ambientale nel lungo termine.

Gli obiettivi del progetto sono:

1. Raggiungere la massima occupazione nel quinquennio (1971-1975) in cui si svolgerà il progetto

2. Raggiungere l'equilibrio dell’assetto produttivo delle regioni, e aumento della loro efficienza e competitività a livello internazionale.

3. Aumentare la quantità e qualità delle infrastrutture pubbliche e dell’impegno sociale attraverso:

a.     Un sistema scolastico permanente e moderno

b.     Una maggiore qualificazione e formazione per i lavoratori

c.      Un piano di ristrutturazione e amministrazione del territorio

d.     Una più estesa rete di trasporti e comunicazioni nazionali

4. Un contributo maggiore allo sviluppo dei paesi arretrati

5. L’integrazione piena in un sistema di scambi internazionale

2. TENDENZE ALLO SVILUPPO ECONOMICO NAZIONALE DEGLI ULTIMI 13 ANNI

Dal 1950 al 1963, l’Italia ha goduto di una crescita del PIL annuo del 6%, in gran parte grazie agli investimenti del piano Marshall, nonché del processo di liberalizzazione dei mercati guidato dall’Europa. L’Italia, in questo periodo figurava tra i maggiori produttori europei per volume.

La crescita vertiginosa è avvenuta anche in parte grazie al cambiamento dell’idea di sviluppo; dal raggiungimento dell’autarchia alla piena integrazione in un sistema di scambio internazionale. Anche altre imprese pubbliche, quali l’ENEL, le riforme agrarie e il progetto di case popolari hanno contribuito alla crescita.

In questo contesto fu approvato con difficoltà il primo programma economico nazionale (1967-1970), che si concentra fondamentalmente su tre obiettivi:

  1. Il miglioramento dei servizi di primaria importanza, quali ospedali, scuole, abitazioni, sicurezza sociale e trasporti;

  2. L’elevamento dei redditi percepiti nel settore agricolo;

  3. L’eliminazione del divario interregionale, con particolare attenzione alla divisione nord-sud.

Il successo di questi anni può essere in larga parte attribuibile a istanze di mercato, e alla capacità di alcune imprese trainanti di innovare al cospetto di un rallentamento della crescita, non certamente grazie agli sforzi dello Stato, che presentava ancora delle lacune gravi nell’azione programmatica e nella struttura interna.

Un altro problema è l’assenza di una vera politica di bilancio, necessaria per sostenere un’espansione a lungo termine, fatto che si collega ad un altro tema; quello della farraginosità della burocrazia statale. È impensabile che uno Stato moderno debba operare con una mano legata dietro alla schiena a causa di un sistema burocratico inefficiente. L’Italia ha quindi bisogno di un sistema di amministrazione flessibile, adatto alla dinamicità dei fenomeni di mercato, non un sistema anacronistico della ormai defunta monarchia.

3. LA STRATEGIA DEI PROSSIMI ANNI DI SVILUPPO

L’economia Italiana ha molteplici centri di decisione piccoli e grandi, che sono sostanzialmente autonomi gli uni dagli altri, rendendola tra le molte cose, anche eccezionalmente flessibile. È intenzione del Progetto di mantenere questa struttura policentrica, dando però allo Stato un ruolo maggiore nella progettazione, ruolo che oggi non è in grado di coprire. Per raggiungere questo scopo, è necessario un sistema centrale di programmazione.

Questo sistema dovrà seguire un iter preciso:

  1. Individuazione dei traguardi quantitativi e determinare quanto siano flessibili (in termini di mancata realizzazione e conseguenze). Per esempio le politiche sociali sono particolarmente inflessibili, e rappresentano un obiettivo di alta priorità;

  2. Individuazione delle azioni programmatiche per realizzare tali obiettivi;

  3. La formulazione di un quadro di riferimento generale, necessario per valutare l’impatto delle azioni programmatiche, nonché degli altri attori economici interni ed esteri;

Indicare le azioni correttive per far fronte ai continui mutamenti del quadro di riferimento generale.

4. LE DIRETTIVE PER I PROGETTI SOCIALI

Il primo piano quinquennale ha valorizzato i bisogni collettivi, ma i risultati erano stati minori delle aspettative. La lenta approvazione e i diversi tempi di maturazione dei progetti da parte dell’amministrazione statale hanno impedito che questi potessero essere in sinergia tra di loro. Il disorganico avvio dei progetti deve essere superata per favorire una regia centrale da parte dello Stato

Nel periodo 1971-1975, i progetti sociali saranno divisi in quattro categorie:

  1. Cultura e progresso civile

Il primo obiettivo è estendere l’istruzione scolastica obbligatoria a tutta la popolazione, garantendo una formazione di base ed una partecipazione critica all’istruzione da parte di tutte le fasce d’età. Le elementari devono iniziare a 5 anni. Le scuole superiori non dovranno più essere centri di formazione professionale, ma concentrarsi più sulla cultura generale. A questo dovrà seguire una qualificazione maggiore degli insegnanti, che necessariamente richiede un aumento della spesa per l’istruzione. Questa dovrà raggiungere il 7% del PIL, un aumento del 2% rispetto al 1967. (l’Italia nel 2019 ha speso meno del 4% del PIL sull’istruzione).

2. Qualificazione e promozione del lavoro

Il problema dell’occupazione ha le sue radici nella veloce urbanizzazione dell’ultimo decennio, flussi migratori attratti dai salari delle città. Questo, unita alla scarsa istruzione della forza lavoro, (in media l’80% con la sola licenza elementare). Anche la rapida meccanizzazione delle industrie produttive ha causato un aumento delle masse di disoccupati.

Per ridurre la portata del fenomeno, due sono le direttive generali: quella dell’espansione quantitativa delle industrie, e quella della formazione professionale dei lavoratori. La seconda richiede tra l’altro una maggiore armonia tra il mondo scolastico e il mondo lavorativo, nonché nell’impegno dello stato (tramite finanziamenti), a corsi di formazione post-scolastici.

Un altro problema del lavoro è quello dell’assenza del salario minimo, che mira a superare il sistema delle zone salariali.

Da considerare importanti sono anche la tutela dei lavoratori, e dei sindacati, non dimenticando il crescente ruolo del lavoro femminile.

3. Protezione sanitaria e sicurezza sociale

In questo ambito i tre temi sono il salario minimo, la giornata lavorativa limitata a 8 ore, e un maggiore investimento nel servizio sanitario nazionale, in modo da coprire la maggior parte dei cittadini. Il sistema di previdenza sociale continuerà ad essere finanziato principalmente dai contributi, con una piccola percentuale finanziato attraverso il fisco, da aumentare gradualmente.

I servizi sociali dovranno essere riformati, per uscire da un’ottica di assistenzialismo, a quello di veri e propri servizi di prevenzione e cura. Questi saranno decentrati a livello regionale e locale.

4. Tutela dell’ambiente e del territorio

L’efficacia di una politica di tutela dell’ambiente dipende dall’unità dell’azione pubblica, cosa che non si è realizzata a causa della disordinata ripartizione di competenze tra gli enti territoriali. È necessaria un’Azienda di Stato, che gestisca il demanio pubblico, e che sia dotata di poteri programmatici.

5. DIRETTIVE PER L’AMMODERNAMENTO/RIEQUILIBRIO TERRITORIALE DELL’ITALIA

Il punto più importante per il riequilibrio territoriale è quello del superamento del divario nord/sud. Per raggiungere la parità tra regioni è innanzitutto necessario incentivare all’occupazione nel settore agricolo meridionale. Inoltre, le aziende meridionali dovranno essere una continuazione di quelle settentrionali, e non dovranno costituire un sistema parallelo ad esso.

Ma sarà l’agricoltura il settore trainante del meridione, e in quanto tale il settore necessita di un intensivo ammodernamento tecnologico e organizzativo. Si dovrà puntare soprattutto sullo sviluppo di quelle aree già avviate verso un’economia più moderna, ma garantendo comunque un sistema di protezione sociale alle aree depresse. Per esempio, il settore agricolo è, in alcune regioni, gestito da aziende competitive, con una grande presenza sul mercato, affiancate da aree completamente inadatte ad un commercio internazionale. Le prime saranno ulteriormente sviluppate, mentre per le seconde si prevedono attività di recupero e parziale ammodernamento.

Per raggiungere tale obiettivo si fa riferimento al memorandum della CEE sulla politica agricola. Il memorandum prevede un pacchetto di incentivi agli agricoltori per trasformare il settore agricolo in un moderno e competitivo settore industriale. Gli incentivi dovrebbero permettere anche il ricambio generazionale nel settore, fornendo una pensione ai lavoratori più anziani.

Le aziende dovranno essere ingrandite, dove possibile, per aumentarne la competitività.

6. DIRETTIVE PER L’INTEGRAZIONE ECONOMICA NAZIONALE

  1. Sviluppo del mezzogiorno

Il primo piano quinquennale italiano aveva l’obiettivo di ridurre il divario tra il nord e il sud. Si sarebbe dovuto raggiungere un equilibrio territoriale per quanto riguarda l’offerta e la domanda di lavoro, e la parità salariale. Non si sarebbe dovuta creare una industria alternativa a meridione, ma la continuazione dell’industria settentrionale. 

In particolare il settore agricolo, di gran lunga il più importante nelle regioni meridionali, dovrà essere promosso. Ciò non toglie che anche altre produzioni possano essere sviluppate. L’obiettivo è non solo un ammodernamento, ma anche il raggiungimento dell’autonomia di sviluppo della regione, tale che non sia più necessario il sussidio dello Stato. Per raggiungere questo scopo di eliminazione del sussidio, dovranno anche essere gradualmente sostituite le industrie parassitarie con industrie produttive.

In accordo con i progetti di liberalizzazione del mercato europeo, anche l’Italia dovrà muoversi verso una maggiore integrazione col continente. l’espansione dovrà essere anche qualitativa, con l’inclusione nel commercio internazionale di un numero sempre maggiore di aziende italiane. Si dovrà dunque provvedere alla rimozione degli ostacoli agli scambi internazionali. Anche la politica agricola dovrà allinearsi, ai progetti europei (Piano Mansholt, PAC). 

Nel concreto, si tratta di aumentare gli aiuti all’estero a 1% del PIL, favorendo gli aiuti internazionali multilaterali, l’espansione dei crediti all'esportazione, e l’aumento dei fondi di assistenza bilaterale con paesi chiave, in modo da permettere loro di trarre vantaggio dagli scambi internazionali, e di creare saldi rapporti di scambio duraturi.

7. QUADRO ISTITUZIONALE E RIFORMA DELLE ISTITUZIONI

È necessaria una riforma delle istituzioni, in particolar modo per razionalizzare i criteri di decisione relativi alla spesa pubblica verso un modello con meno sprechi. Si è infatti riscontrato che c’è un'esigenza di programmare i costi e i benefici attraverso un accurato strumento di calcolo economico, che la presente struttura amministrativa non è capace di fare. 

Ma come creare questo sistema di contabilità economica nazionale? Innanzitutto, per ridurre gli sprechi e razionalizzare le spese, si propone di redigere ogni anno un bilancio di previsione dello Stato. Si tratta di un calcolo approssimativo, ma non impreciso, dei costi associati alle attività governative e parlamentari per la durata di un anno. Nei confronti di questa previsione di bilancio il Governo e il Parlamento avrebbero solo limitata discrezionalità, potendolo solo approvare o respingere.

La legge di bilancio deve essere inoltre affiancata alla legge di finanza (finanziamento enti pubblici e territoriali), che consentirebbe una visione d’insieme più dettagliata sulle entrate e spese dello Stato, dato che la legge di bilancio attuale consente solo una limitata visione delle conseguenze di cassa previste. Fatta questa razionalizzazione delle entrate e delle spese, lo Stato potrà dunque evitare spechi e fare investimenti con maggiore consapevolezza.

All’interno del Paese, bisogna riformare la pubblica amministrazione, oggi troppo frammentaria e disorganizzata per essere utile allo sviluppo. Tuttavia, non bisogna pensare all’uniformità amministrativa, che in Italia rischia di essere un progetto fallimentare, ma al decentramento funzionale, sul modello dell'amministrazione delle ferrovie dello stato. Inoltre, il modello dovrà essere quello dell’amministrazione-agenzia, caratterizzato da un certo grado di autonomia decisionale. 

L’amministrazione regionale dovrebbe essere irrobustita, per consentire uno snellimento dell’amministrazione statale, che si relega a ruolo di coordinatore centrale delle attività. La regione a sua volta dovrà assumere lo stesso ruolo nei confronti dei comuni e le province.

APPENDICE AL RAPPORTO PRELIMINARE AL PROGRAMMA ECONOMICO NAZIONALE 1971-1975

1. CULTURA E PROGRESSO CIVILE

Criteri generali per l’organizzazione degli istituti di formazione: 

  1. Garanzia di libertà individuali e collettive sotto forma di riconoscimento delle organizzazioni studentesche;

  2. La partecipazione del governo alla vita scolastica tramite organi collegiali che favoriscano la comunicazione. Da evitare una rigida inquadratura normativa di questi organi per garantirne la massima flessibilità;

  3. Autonomia finanziaria e processuale degli istituti superiori e inferiori, che garantisce flessibilità e sperimentazione, nonché un collegamento con la realtà sociale di cui fanno parte. In particolare, le università dovranno diventare luoghi di sperimentazione di nuovi metodi di insegnamento;

  4. Le nuove regioni daranno l’opportunità di creare un nuovo sistema decentrato.

  5. Un mutamento del rapporto insegnanti/studenti. Si dovrà puntare su una didattica centrata sul dialogo, sulla promozione dell’autonomia, la responsabilità degli studenti, e lo studio critico delle materie.

Il Progetto ‘80 propone un nuovo ruolo per la scuola di tutti i livelli. La scuola dovrà superare il ruolo di mero centro di studi, per qualificarsi come centro integrato di servizi educativi, assistenziali, e sanitari (si ricordi che spesso le scuole elementari forniscono servizi sanitari, quali vaccini). La scuola dovrà diventare luogo di formazione culturale, civica e sportiva, da rimanere aperta anche dopo il termine delle lezioni, e fornire agli studenti un’alternativa al semplice rientro a casa. (Oggi alcune scuole offrono servizi di potenziamento e allenamenti sportivi dopo le ore predisposte alla didattica, ma molte altre no. Il problema principale è la profonda diseguaglianza tra istituti che va ancora colmata.)

La formazione del personale scolastico dovrà essere rivisitata. Tutti i docenti e insegnanti dovranno come minimo avere una formazione universitaria, con periodi di esonero dal lavoro predisposti per ulteriori corsi di formazione e aggiornamento, da effettuare durante tutta la carriera. Le ore di lavoro dovranno essere necessariamente aumentate per far fronte alle proposte del paragrafo precedente. 

Per quanto riguarda gli strumenti dell’insegnamento, anche questi dovranno essere revisionati. I libri dovranno essere regolamentati, e coadiuvati da televisione e stampa nella formazione degli studenti. Inoltre il progetto ‘80 propone anche un ampliamento dei locali scolastici, che nel periodo 1969-1980 dovranno accomodare 7 milioni di nuovi posti-alunno.

2. PROBLEMI DI LAVORO

Sul fronte lavorativo, due sono le direttive: l’aiuto ai giovani nel mondo del lavoro, e il miglioramento delle condizioni lavorative di chi già dentro si trova. 

Il miglioramento delle condizioni lavorative si può attuare tramite le seguenti azioni:

  1. Diretta partecipazione dei lavoratori alle decisioni che concernono la produzione

  2. Diminuzione delle ore di lavoro, possibile grazie all’avanzamento tecnologico

  3. Aumento delle ferie per lavoratori in condizioni svantaggiate (es. disabili)

  4. Proposta di una settimana lavorativa corta (lunedì-giovedì)

  5. Incentivi alla partecipazione al lavoro per altre categorie (donne, anziani, studenti), in capacità part-time. Da definire delle nuove norme legali per questa categoria di lavoratori

In particolare il lavoro femminile deve essere tutelato, con corsi di formazione professionale e norme di tutela del lavoro femminile. Il lavoro degli anziani deve altresì essere tutelato, con particolare attenzione all’età di pensionamento, oggi (1967) più bassa della media europea.

3. SICUREZZA SOCIALE

In ambito di sicurezza sanitaria, il progetto ‘80 promuove la creazione di una nuova rete nazionale, la USL (Unità Sanitarie Locali), che dovranno eseguire attività di prevenzione, diagnosi e cura. (La USL diventerà la nostra ASL nel 1993). Si pensa anche all’eliminazione di quelle malattie infettive sull’orlo dell’estinzione ma che ancora perdurano in piccoli focolai permanenti, tramite non solo l’uso di vaccini, ma anche di misure di prevenzione generali. (Poliomielite in, vaiolo, oggi malattie che non esistono più in Europa grazie a vaccinazioni e cure preventive)

Dati il crescente stress da lavoro, lo Stato propone di allargare i dipartimenti medici per la salute mentale, fino a raggiungere la quota di un posto letto per ogni 1000 abitanti. 

Ancora nel mondo del lavoro, si pensa ad una tutela sotto forma di una pensione sociale, da elargire prima alle categorie svantaggiate. Questo serve non solo da rete protettiva, ma anche come strumento di incremento del potere d’acquisto dei cittadini. Le pensioni di invalidità dovranno essere elargite con minore noncuranza, precisando i criteri di assegnazione e le categorie che godono di tale servizio.

Il fenomeno di urbanizzazione ha sconvolto anche il sistema di servizi pubblici quali le scuole e gli asili, che di fronte alla crescente domanda nelle città si sono trovati a corto di locali e personale. Si propone dunque una maggiore centralizzazione di questi servizi pubblici nelle città e nelle campagne. Nelle città dovrà anche essere costruita un’adeguata rete di asili nido.

4. AMBIENTE NATURALE E URBANO, COMUNICAZIONI E TRASPORTI

 Ambiente naturale

Un primo tema da affrontare è quello della difesa del suolo. L’argomento verte sul rischio idrogeologico, rilevante anche oggi. Si parla della sistemazione di pendici franose, alla messa in sicurezza dei letti e degli argini dei fiumi, e alla canalizzazione dei terreni soggetti ad alluvioni, il tutto seguendo una visione unitaria che tenga conto delle interdipendenze di questi fenomeni. (Le frane e le alluvioni hanno come causa comune le forti piogge)

La principale difficoltà incontrata è causata dalla ripartizione delle competenze, che ha impedito di utilizzare i fondi predisposti dalla legge 632/1967.

 Inoltre, bisogna considerare la preservazione qualitativa e quantitativa della risorsa idrica, messa a repentaglio da crescenti consumi e inquinamento. L’investimento in adeguati impianti di depurazione diventa dunque fondamentale, sia per preservare gli ambienti naturali da sostanze inquinanti, che per proteggere la salute pubblica. I depuratori dovrebbero essere a carico dei soggetti inquinanti, quali industrie. Si propone a tale scopo di adire alle proposte europee a riguardo, contenute nella Carta europea dell’Acqua; Consiglio d’Europa. (il problema dei depuratori e dell’inquinamento è presente anche oggi).

Un altro tema è quello dell’ampliamento del demanio forestale, con la possibilità per lo stato di acquistare terreni ritenuti importanti per la preservazione dei boschi. Dovrebbero altresì essere abolite gradualmente le concessioni private di questi territori. 

 L’inquinamento atmosferico proviene principalmente da scarichi industriali e impianti di riscaldamento. Si propongono delle soluzioni temporanee, quali l’allontanamento di industrie inquinanti dai centri abitati, e lo sviluppo dell’energia da gas naturale, ma si aspetta un avanzamento tecnologico che renda possibile l’eliminazione totale dei gas e residui inquinanti. Un breve paragrafo è dedicato all’eliminazione di pesticidi inquinanti.

 La protezione della flora e fauna è stato disciplinato in modo parziale. La loro abbondanza e apparente inesauribilità hanno permesso loro di essere considerate fino ad oggi res nullius, causando un depauperamento preoccupante. A questo proposito il Progetto ‘80 propone la creazione di parchi e riserve naturali, al tempo gestita da un’autorità statale priva di poteri programmatici e con limitata autorità. Le uniche azioni possibili erano divieti e sanzioni per violazioni delle regole dei parchi. (Oggi questi problemi sono stati risolti grazie alla creazione di parchi nazionali, e dell’allargamento del demanio pubblico) 

 Ambiente urbano

La necessità di preservare il patrimonio storico artistico è un tema purtroppo molto attuale. Questi luoghi sono un’importante fonte di cultura e storia, ma anche di introiti dal turismo, e in quanto tali devono essere protetti. Il Progetto ‘80 propone delle linee guida: la creazione di un inventario nazionale dei luoghi di interesse storico/culturale, del loro stato di conservazione, e degli investimenti necessari per recuperarli. Inoltre, è necessaria la determinazione e assunzione di vincoli normativi per il loro utilizzo, rafforzamento della cooperazione tra gli enti statali competenti.

 Per i centri storici, sono necessarie delle norme per il loro utilizzo da parte di privati, una maggiore cooperazione con la PA, controlli periodici per impedirne il “saccheggio”, e un ampliamento generale del demanio pubblico. È altresì vero che i centri storici non possono restare in uno stato di abbandono, dunque è necessario una pianificazione attiva che miri ad integrare questi luoghi nelle nuove città. Il restauro e il riutilizzo di alcuni edifici potrebbe essere utile a questo fine. (Il problema della manutenzione è presente anche oggi, ridotta in portata ma non in gravità. Ad es. Pompei)

 La rapida urbanizzazione ha inoltre depauperato le campagne e i centri minori del loro naturale valore paesaggistico, che certamente potranno essere recuperate. (Anche oggi, molti centri urbani di grande interesse storico sono in uno stato di quasi completo abbandono, o di scarsa gestione. Basti pensare ai piccoli centri disabitati cosparsi sul territorio; es. Civita di Bagnoregio). 

L’urbanizzazione e la centralizzazione delle attività caratterizza anche il settore del turismo. 8 milioni di turisti visitano Roma ogni anno, una cifra enorme rispetto al resto d’Italia. L’accentramento massiccio delle attività turistiche sovraccarica i servizi pubblici quali ospedali e polizia nei mesi estivi, per cui un decentramento è necessario. 

 Lo sviluppo urbano presenta alcune criticità e interessi contrastanti che lo rendono un tema delicato. La proiezione dell’Italia dell’anno 2000 contenuta nel progetto ‘80, si è in parte realizzato. Assistiamo oggi ad una concentrazione delle abitazioni in agglomerati urbani, mentre le campagne e i piccoli centri perdono la loro autonomia e versano in condizioni sempre più gravi di abbandono. Nasce dunque l’idea di città policentrica, un modello di decentramento che potrà essere esteso anche all’organizzazione regionale.

 Anche qui la questione meridionale è problematica. Assistiamo ad un esodo dalle regioni del sud verso l’Italia settentrionale. Oltre ad aumentare la tendenza delle città settentrionali a diventare delle megalopoli, impoverisce le città di partenza.

 Azioni proposte

 Per venire incontro ai gravi problemi di sovraffollamento nelle città, è necessario innanzitutto ripensare i sistemi di trasporto. I centri più grandi si dovranno dotare di servizi metro e autobus adeguati alle loro popolazioni crescenti, per cui una collaborazione con i centri di ricerca (incluse le università) sarà utile. Le nuove reti dovranno permettere lo spostamento in qualsiasi punto della città in 60-90 minuti, includendo anche le periferie, fino ad un raggio di 150 km.  L’organizzazione economia degli enti gestori sarà polivalente, e incentrato su un modello economico. 

 Ora che molte fabbriche si spostano in periferia, l'organizzazione degli spazi urbani dovrà favorire le aree verdi, con un minimo di 50m2 di spazio di svago per abitante. Inoltre, le nuove città dovranno essere sviluppate sul modello policentrico (Un esempio di città policentrica oggi sono Ferrara e Bologna), permettendo il facile accesso a tutti i servizi in tutte le zone della città. Ogni zona sarà dunque dotata delle infrastrutture necessarie. Il modello promette di ridurre il traffico di pendolari, e ridurre l’inquinamento atmosferico. La città policentrica ha anche una finalità estetica, che evita la divisione in periferia e centro, e rivitalizza la città intera. 

 Le città verranno suddivise in varie categorie, a seconda del loro livello di sviluppo e conseguente suscettibilità al nuovo modello policentrico. Alcune città, che per il valore storico dei loro centri non potranno avvicinarsi al nuovo modello, saranno escluse dal piano, e seguiranno dei percorsi alternativi (es. Roma, Torino, Milano, Napoli). Le altre sono divise in 5 categorie, A; A1; B; C; C1, essendo A la più sviluppata e C1 la meno sviluppata. Le prime tre categorie vedranno forti investimenti in industria e decentramento, mentre le ultime due in attività di recupero delle periferie.

 Politica delle comunicazioni

 Data la crescita vertiginosa degli scambi e della mobilità interna e internazionale, il Progetto ‘80 propone una serie di misure volte al potenziamento della rete infrastrutturale dei trasporti. Queste nuove infrastrutture dovranno attenersi ad alcuni criteri generali, ovvero la capillarità dei trasporti, il minimo ingombro nell’uso del territorio e l’integrazione con alternative forme di trasporto per massimizzarne l’efficienza. Per la comunicazione internazionale (commercio e mobilità personale), dovranno essere valorizzati i trasporti aerei e navali, mentre le ferrovie serviranno principalmente le comunicazioni interne, fermo restando che il loro valore internazionale non debba diminuire. 

 I valichi e i trafori alpini sono un importante strumento di collegamento e integrazione con l’Europa continentale, e dovranno subire un ampliamento, anche a fronte dell’aumentata domanda. Le gallerie stradali del Monte bianco e del Gran S. Bernardo sono già in funzione, mentre i valichi del Brennero, Ventimiglia e Chiasso sono in corso di ultimazione. Si propone anche un traforo al Monte Croce Carnico, e le autostrade del Treviso e del Sempione. 

Oltre al potenziamento quantitativo di queste strade e trafori, bisogna anche pensare al potenziamento qualitativo. Non solo dovranno essere potenziate prima quei tratti di maggiore importanza strategica (traforo del Fréjus, Brennero), ma bisogna anche collegare queste reti alle altre opere infrastrutturali, quali porti, aeroporti, e autostrade, per garantire un transito veloce e senza interruzioni di merci e persone. 

I porti in Italia hanno accumulato una serie di ritardi nei confronti dei mercati internazionali. L’aumento della stazza delle navi da carico, e l’uso sempre più diffuso di container richiede una maggiore specializzazione delle infrastrutture portuali, purtroppo assenti in Italia. A questo si aggiunge l’inefficienza delle operazioni di carico e scarico, che spinge molte compagnie a cercare attracco altrove. Questa inefficienza è data anche dalla congestione di alcuni porti, quali Genova, che interessa oltre il 90% del commercio marittimo settentrionale. 

È dunque necessario non solo il potenziamento, ma anche il decongestionamento dei porti, e la creazione di un sistema portuale. Il sistema proposto ha due diramazioni nel nord Italia: Il sistema dell’alto Tirreno (da Savona fino a Livorno), e il sistema dell’alto Adriatico (Venezia e Trieste). Ogni porto di questi sistemi dovrà specializzarsi in un commercio specifico in modo da massimizzare il vantaggio competitivo in ogni settore. Per esempio, Venezia e Genova si potranno specializzate nel trasporto di passeggeri. 

Il basso Tirreno (Napoli, Salerno), e basso Adriatico (Bari, Brindisi, Taranto) si potrebbero specializzare nel traffico merci secche (container).

 Ogni sistema metropolitano dovrà dotarsi di un aeroporto internazionale a lungo raggio, ancora in numero esiguo nel Paese, e il potenziamento degli aeroporti interni e a medio raggio (destinazioni europee). 

Il traffico autostradale aumenterà di circa quattro volte entro il 1980, da circa 8 milioni di automobili a 20 milioni. È dunque necessario un ampliamento delle reti autostradali, per consentire un rapido spostamento di merci e persone attraverso il Paese. Inoltre, servono investimenti per la costruzione di centri di distribuzione, sempre nell’ottica di un decentramento e di un decongestionamento del traffico. 

Il traffico ferroviario ha tre direttive principali:

  1. L’incremento della velocità oraria

  2. Il miglioramento del “comfort” di viaggio

L’integrazione del sistema ferroviario con quello portuale, stradale, e con i trafori e valichi, in accordanza con il modello descritto nel paragrafo sui trafori

4.NUOVE TECNOLOGIE E SVILUPPI

  1. Informatica

L’Italia degli anni ’70 mostra un ritardo e uno squilibrio interno nell’applicazione dell’informatica nell’economia, con lacune in alcuni settori. Il Progetto ’80 propone un piano di formazione informatica e valorizzazione sui mercati internazionali. Allora come oggi, mancano soprattutto le competenze. Per elevare l’Italia, una cooperazione con l’Europa è necessaria, per velocizzare la ricerca. Il punto fondamentale è la concentrazione degli sforzi su settori ancora non saturi, quali i microchip, che permetteranno all’Italia di avere un vantaggio competitivo.

2. Elettronica professionale e componenti avanzate

Bisognerà dare priorità alla ricerca e lo sviluppo delle componenti elettroniche che giocano un ruolo importante nei settori produttivi (in particolare quelli più avanzati come il settore chimico), sanitari, e dei trasporti. L’ultimo punto è l’allargamento delle reti infrastrutturali per facilitare lo scambio e trasferimento di informazioni. L’esigenza è tutt’oggi presente con il dibattito sul 5G.

3. Industria aerospaziale

Il settore aerospaziale italiano occupa solo il 4% delle spese settoriali in Europa. Le divisioni interne europee non permettono un paragone con i giganti dell’industria aerospaziale: USA e URSS. Il problema è oggi risolto. L’ESA (European Space Agency) coordina e mette in comune rischi e costi dei singoli paesi europei.

4. Industria nucleare

Il Progetto ’80 propone di sviluppare ulteriormente l’energia nucleare per fini di sufficienza energetica. Gli impianti vengono costruiti fin dal 1963, e vengono ulteriormente potenziati e raffinati fino al 1987, con il referendum abrogativo. I successivi Governi (Goria, De Mita, Andreotti VI) abbandonarono il nucleare.