Presentazione del libro “Prima L’Europa” di Sergio Fabbrini

di Daniele Santaroni


Il 1° dicembre di quest’anno, Giovanni Lo Storto, Direttore Generale della “Luiss Guido Carli”, Vincenzo Boccia, Presidente Luiss, Paola Severino, Vicepresidente Luiss, ed Enrico Letta, “Dean PSIA Sciences Po”, hanno voluto omaggiare e ringraziare Sergio Fabbrini per il suo nuovo libro dal titolo “Prima l’Europa. È l’Italia che ce lo chiede”. Non è la prima volta che Sergio Fabbrini, professore e capo del Dipartimento di Scienze Politiche presso la “Luiss Guido Carli”, ci regala un prospetto critico e allo stesso tempo appassionante sulle vicende che coinvolgono direttamente e indirettamente l’Unione Europea. Quest’ultimo, da massimo esperto di questioni europee, studia e analizza le debolezze e i punti di forza dell’UE, privilegiando un metodo che mette in discussione e supera i due consueti approcci mainstream: populismo/sovranismo ed euro-fanatismo. La discussione ha preso il via con i consueti saluti del direttore generale Giovanni Lo Storto che ha voluto personalmente ringraziare Fabbrini, non solo per la levatura del libro ma anche e soprattutto per la costante e giornaliera dedizione che il professore rivolge ai temi del palcoscenico europeo. Interventi volti a esprimere riconoscenza all’autore del libro, sono anche quelli di Vincenzo Boccia e Paola Severino, i quali mettono in evidenza il ruolo che la pandemia ha assunto negli ultimi sette mesi. Le prime problematicità sorte all’interno dell’UE su come intervenire per ammortizzare il collasso economico di alcuni stati, alcune dichiarazioni poco convinte della nuova presidente della BCE Lagarde e le forti opposizioni di alcuni stati del Nord hanno lasciato il passo ad accordi volti all’emissione di debito comune e alla nascita di quello che è noto come “Next Generation UE”. Non tutto è risolto, ma la direzione è quella giusta.

Prima di passare all’intervento di Fabbrini è doveroso menzionare alcune considerazioni mosse dall’ex Presidente del Consiglio Enrico Letta. Quest’ultimo ha posto il focus sui cambiamenti che hanno investito l’Europa durante l’ultimo anno, la cui portata, sia dal punto di vista dei termini che delle conseguenze, supera notevolmente tutto ciò che ha visto e coinvolto l’Unione Europea negli ultimi 10/15 anni. Un esempio di tutto questo è stato sicuramente il cambiamento dell’Italia, passata nell’arco di un anno da posizioni vicine a quelle di Polonia e Ungheria a esser uno dei maggiori rappresentanti, insieme a Francia e Spagna, del gruppo di Stati che ha convinto la Germania ad emettere debito comune. Enrico Letta, inoltre, ha proposto a Fabbrini un lavoro che metta in relazione il sondaggio sul senso di appartenenza degli italiani all’Europa (dalla sua nascita ai giorni d’oggi) con la dinamica del debito pubblico del nostro paese. La tesi dell’ex Presidente del Consiglio è che proprio nel momento in cui l’Italia ha deciso di mettere un argine alla crescita del debito pubblico (mediante l’approvazione del Trattato di Maastricht), gli italiani hanno iniziato a perdere fiducia nei confronti dell’Europa. Gli italiani percepiscono, così, l’UE non come un’opportunità di stabilità e crescita ma come “il nemico” che non ci permettere di fare politiche pubbliche maggiormente espansive e che ci costringe a tenere d’occhio la crescita del debito. Enrico Letta termina il suo intervento evidenziando come uno dei veri problemi dell’Unione Europea resti il metodo intergovernativo, ovvero quel sistema di decisione che prevede la centralità degli stati nel processo di policy making. È fondamentale modernizzare le istituzioni europee e i meccanismi al loro interno, perché il distacco che si è venuto a creare tra UE e società europea può essere in parte spiegato dalla lentezza con la quale le istituzioni agiscono. Quindi, ad esser indietro non sono i cittadini ma l’Unione Europea e gli Stati che ne fanno parte, divisi molto spesso su posizioni inconciliabili. Vediamo come.

Fabbrini, nell’esporre il suo pensiero critico e filoeuropeo, parte da un concetto semplice ma alquanto emblematico: la verità. È fondamentale, secondo l’autore, studiare, indagare e spiegare la realtà, cercando di evitare di prendere posizioni per una o l’altra parte dello schieramento. L’obiettivo di uno studioso, quando fa ricerca o insegna, è quello di cercare di capire quali sono i rischi, le opportunità, i benefici e gli aspetti meno negativi, riducendo al minimo il grado di parzialità. L’approccio va così trasferito nel momento in cui si esaminano i fenomeni contemporanei legati ad euroscetticismo ed euro-fanatismo. Lo scopo, quindi, non è il sostegno all’una o all’altra parte politica, ma la volontà e la necessità di rendere l’Italia e l’Europa migliori. L’autore del libro mette in luce come la realtà sia complessa e che per una sua comprensione sia necessario partire da concetti più esaustivi come quello di interdipendenza. Bisogna capire che lo Stato, ormai, non è più quello precedente alle due guerre ovvero il centro e l’essenza della vita politica e sociale dei cittadini, ma rappresenta uno dei tanti attori politici. Nella prassi vi è una vera e propria interdipendenza, che vede, infatti, da un lato lo Stato e dall’altro altri soggetti come ad esempio le organizzazioni internazionali (o regionali). Questo livello di profonda interdipendenza comporta la possibilità di affrontare alcuni ambiti di policy a livello globale. Ci sono questioni come il cambiamento climatico, il terrorismo, le crisi finanziarie e i flussi migratori che necessitano una strategia su scala internazionale. Vi sono poi, però, anche ambiti dove lo Stato riveste un ruolo fondamentale, come nelle politiche sociali e nelle politiche culturali. Non tutti hanno la stessa visione e per questo vi sono ancora alcuni cittadini che non sono pronti ad approdare definitivamente a un impianto “cosmopolita”. Bisogna, quindi, rafforzare la nostra democrazia liberale seguendo un approccio multilivello in grado di trovare un compromesso tra l’interdipendenza e la sovranità nazionale. L’idea di trovare un accordo tra le parti è così la soluzione a molti problemi. L’Europa, infatti, è il contesto dove questo compromesso ha visto per la prima volta la sua attuazione, ma soprattutto a causa di alcune crisi (finanziarie e migratorie) ora rischia di saltare. Bisogna quindi cambiare, adattarsi alla realtà, cercare di essere maggiormente pragmatici evitando di schierarsi a favore di qualcosa o qualcuno. L’Europa degli anni ’50 non è quella di oggi. Il mondo è cambiato, la realtà mutata. Bisogna cercare un nuovo modello, che prenda atto della nuova realtà e del concetto di interdipendenza. Nulla è naturale. Fabbrini dice esplicitamente: “L’Europa è una costruzione artificiale, non cade dal cielo. È il risultato della testa, del cuore delle persone.” Quando si vuole cambiare la realtà bisogna pensare a tutti, non solo a chi ne trarrebbe immediati benefici. “Next Generation UE” è una prima risposta, ma non basta. Anche l’idea del vincolo esterno va aggiornata. È stato per anni un mezzo per modernizzare e migliorare il nostro stato, ma ora questo vincolo viene visto come qualcosa di negativo. Si ritorna così alla fatidica frase “ce lo impone l’Europa”. Bisogna comprendere che alcuni aspetti come la riduzione del debito, la modernizzazione della pubblica amministrazione e lo sviluppo della ricerca, sono obiettivi che dobbiamo perseguire aldilà di alcune direttive che arrivano da Bruxelles. L’Italia e l’Europa devono fare dei passi in avanti, ma insieme. L’obiettivo di Fabbrini è quello di sollecitare l’attenzione delle istituzioni sulla necessità di fare passi in avanti. I cittadini sono pronti, ora tocca all’Europa e all’Italia. In conclusione, il messaggio “Prima l’Europa. È l’Italia che ce lo chiede” rappresenta sia il fine che il mezzo.