Il ferro, l’acqua, l’asfalto: la Lombardia, locomotiva del Paese

di Roman Mengoni

Produzione, competitività, crisi: quando si parla di economia sono questi i termini più frequenti, spesso a scapito di temi meno accattivanti – ma di pari rilevanza – come la logistica e i trasporti. E quanto più “attiva” è una regione, tanto più importante è il tema. Non a caso, Confindustria Lombardia ha sentito la necessità di parlarne in una conferenza online, anche alla luce del dibattito sull’utilizzo dei fondi del Next Generation EU (c.d. Recovery Fund).

È stato quindi condotto un importante studio – frutto della collaborazione tra Confindustria Lombardia, Assolombarda e l’Università Bocconi, quest’ultima rappresentata dal Professor Oliviero Baccelli – per approfondire le macro-tendenze del settore logistico, in particolare delle catene globali del valore (global value chains,GVC), fornendo spunti di policy utili alle imprese manifatturiere lombarde. Lo studio viene presentato con una certa urgenza, in gran parte per cogliere l’occasione e sfruttare al massimo i fondi europei nell’arco temporale 2021-2027. 

Ma perché tanta preoccupazione per la logistica lombarda? Prima di tutto, la più ricca e popolosa delle regioni è uno degli snodi commerciali europei più importanti, in gran parte per il volume e il valore dei prodotti che la attraversano ogni anno. I grandi esportatori lombardi (fatturato superiore ai 50 milioni di euro) rappresentano solo lo 0,65% delle oltre 63mila imprese del settore, ma ben il 43% dell’export regionale. Solo a Malpensa passa più del 50% del traffico aereo cargo in Italia, con forte specializzazione a supporto dell’export sui mercati americani e asiatici di molti prodotti made in Italy fra cui il tessile-abbigliamento e il farmaceutico.  

Nonostante il ruolo di primaria importanza, la Lombardia presenta delle criticità infrastrutturali particolarmente acute. Una di queste è il ponte San Michele, uno storico collegamento tra Bergamo e Lecco, simbolo del decollo industriale nel primo cinquantennio dell’Unità. Oggi, tuttavia, il ponte rappresenta un ostacolo al traffico locale, in gran parte a causa della carreggiata ristretta: un nuovo collegamento stradale o ferroviario è dunque necessario. 

Naturalmente, il settore dei trasporti non è composto solo dal traffico aereo e stradale: bisogna considerare anche le ferrovie, i porti marittimi e fluviali; una fitta rete di scambi lungo percorsi intermodali, che spesso tuttavia sono mal collegati.

La sfida di oggi è dunque quella di facilitare i trasferimenti da un mezzo di trasporto a un altro, creando una rete integrata, sinergica e senza soluzioni di continuità. Si potrebbero, per esempio, finanziare dei collegamenti preferenziali tra le strade e le ferrovie, aumentando la velocità del trasporto e di conseguenza l’attrattività delle imprese locali. In un secondo momento si dovrebbe anche pensare all’abbattimento dei tempi procedurali delle dogane, ugualmente problematici per gli scambi con l’estero.

Alcune criticità, però, trascendono i confini regionali: caratterizzano, piuttosto, il sistema-Paese nel suo complesso. Per esempio, il tema della digitalizzazione – sovente riproposto nel dibattito pubblico – stenta a fare breccia nella coscienza collettiva degli italiani. Una riforma organica e su larga scala chiede ancora di essere attuata: sconta infatti delle resistenze strutturali, alcune ben radicate nella mentalità di importanti fasce di popolazione. La nuova «industria 4.0» – un settore che dovrà trainare lo sviluppo dell’economia – è dunque in forte ritardo rispetto al resto d’Europa. La digitalizzazione è talvolta investita da pesanti critiche: alcune riguardo possibili rischi di cybersecurity ad essa collegati, altre con riferimento alle possibili vulnerabilità in settori strategici. Tuttavia, secondo un’analisi del prof. Baccelli, la nuova tecnologia – in particolare il 5G – non rappresenta un fattore di rischio per il settore dei trasporti: quelli marittimi e ferroviario, per esempio, non sono una destinazione ideale per gli investimenti in alta tecnologia propedeutica a diversi livelli di automazione. L’unico ostacolo alla digitalizzazione di questi settori sta dunque nell’impostazione mentale di alcuni imprenditori, talvolta troppo orientati su scelte sicure e poco propensi ad affidarsi a tecnologie poco conosciute. 

Quanto alla sostenibilità, che svolge un ruolo fondamentale nell’efficientamento dell’industria e dei trasporti in Italia, il tema può essere travisato. In sé, il prodotto puramente “verde” – con alcuni casi di inutili e costose bolle di “greenwashing” – non è necessario né utile. Anzi, nel lungo periodo rischia addirittura di danneggiare la competitività del settore: per «sostenibilità», infatti, dovrebbe intendersi una generale riduzione degli sprechi – per esempio, attraverso un efficiente sistema di trasporti – che, limitando i costi di produzione, contenga anche l’impatto sociale dell’output e – più in generale – le esternalità generate dal processo, in un’ottica virtuosa di «economia circolare».

A questo si aggiunge il bisogno della semplificazione burocratica, finalmente percepito con chiarezza. Da anni l’Italia versa in una situazione di disagio estremo, in cui le iniziative private di investimento e innovazione vengono soffocate nel collo di bottiglia della pubblica amministrazione. Un chiaro esempio – illustrato da Alessandro Spada (Assolombarda) – è quello dell’installazione di meccanismi automatici di stoccaggio nei magazzini. Questi rappresentano un enorme passo in avanti per l’automazione e la competitività delle imprese, ma spesso necessitano di modifiche alle strutture che le ospitano, incontrando resistenze e ostacoli negli onerosi processi burocratici di approvazione delle varianti urbanistiche necessarie per elevare le altezze dei magazzini. 

Spesso i tempi di approvazione di un piano di sviluppo si aggirano intorno ai 5 anni, con picchi di 9 anni di durata, ma non è solo la burocrazia ad essere colpevole di questi ritardi. Nella classe dirigente italiana, infatti, manca una mentalità che valorizzi l’efficienza, la competitività e la rilevanza del “time to market”. 

In questo l’Italia ha stabilito un record di ritardi in Europa, con circa 100 miliardi di euro in opere cantieristiche già finanziate che aspettano solo il nulla osta di un giudice. Procedure e pratiche lente potrebbero essere già costate all’Italia una cifra prossima ai 600 miliardi di euro in mancati benefici socio-economici. 

Bisogna dunque passare dalle semplici dichiarazioni d’intento alle azioni concrete. I fondi del Next Generation EU saranno disponibili per realizzare alcuni piani di sviluppo tra il 2021 e il 2027: in questo lasso di tempo, l’Italia dovrà fare un salto di qualità epocale per poterli sfruttare al meglio. Il messaggio di Confindustria arriva forte e chiaro: non è più tempo di indugiare. Servono provvedimenti e riforme per velocizzare l’intero apparato pubblico italiano. Bisogna progettare – con urgenza ed efficacia – l’Italia dei prossimi vent’anni. Partendo, magari, dal nostro modo di pensare.