Piero Sraffa: un economista dalle idee ancora attuali

di Giulio Di Ciommo

C’è un motivo per cui i «classici» vengono definiti tali: e tale — a suo modo — è anche Piero Sraffa (1898-1983), che pure non si è posto esattamente nel solco di Smith e Ricardo.

A distanza di sessant’anni anni, la sua opera Produzione di merci a mezzo di merci risulta ancora attuale. Ancorché breve e sconosciuta ai più, essa ha sradicato con la sua obiettività le teorie «neoclassiche», allora in voga. Sraffa nacque giurista, ma la tesi di laurea L’inflazione monetaria in Italia durante e dopo la guerra (1920) lo consacrò economista. Oggi una sua rilettura può essere utile per riscoprire il ruolo del manifatturiero e della politica industriale.

Per Sraffa, Cambridge e l’Inghilterra sono stati quasi una via di fuga, un’occasione di formazione e di confronto con personalità del calibro di Keynes, con cui aveva già stretto un intenso rapporto di fiducia. Produzione di merci a mezzo di merci è un’opera innovativa e, allo stesso tempo, conservatrice: in essa Sraffa ripercorre e reinterpreta i passi degli economisti classici, le cui visioni oggettive sono state, come riportato sempre nella prefazione, «sommerse» da quelle soggettive dei marginalisti.

Il perno dell’opera è la riflessione essenziale sul valore come frutto di elementi oggettivi. I classici volevano dimostrare che non esiste un unico punto di equilibrio in un sistema «circolare», caratterizzato dall’interdipendenza fra i settori, posto che le attività economiche sono collegate le une con le altre e i prezzi delle merci appartenenti a un settore dipendono a loro volta dai prezzi dei beni, usati come mezzi di produzione. Da qui la dipendenza tra i prezzi e il surplus: poiché non esiste un solo equilibrio, il secondo può essere distribuito sotto forma di saggio di profitto oppure di salari, questi ultimi espressi in termini reali. La relazione mostrata è inversa: un aumento del salario influenza negativamente il saggio di profitto e viceversa, allorché una modifica del salario o del saggio del profitto induce a sua volta una variazione dei prezzi.

Detto ciò, la domanda da porsi è: perché Sraffa è ancora così attuale?

Le risposte possono riassumersi nei seguenti elementi: la reinterpretazione fornita classici, specialmente a Ricardo; l’aver sciolto il nodo intorno all’oggettività del valore; infine, l’attribuzione al manifatturiero di ruolo centrale nell’economia. Ancora oggi l’Italia è uno dei Paesi più industrializzati d’Europa: secondo l’ultima rilevazione disponibile, il 26% degli occupati lavora nel secondario. Quest’ultimo, oltre ad assicurare un saldo commerciale positivo, è la sede in cui si forma e si diffonde la conoscenza tecnica. Pertanto, le forze istituzionali — come affermano Sraffa, Keynes e il celebre «paradigma di Bain» — possono intervenire sulla distribuzione del surplus, sul livello di salario minimo e sulla domanda aggregataincentivando una “giusta” combinazione tra produttività e occupazione all’interno delle industrie. La chiave è una politica industriale “attiva” che permetta la crescita delle imprese, dunque del sistema economico.

Kaldor, altro economista che ha un forte legame con l’attualità, concorda con Sraffa sul fatto che non esiste un solo equilibrio all’interno di un sistema economico e, anzi, vi sono forze che ne determinano un costante disequilibrio. Secondo l’economista di origine ungherese, sono le stesse imprese che crescendo — grazie agli investimenti, all’innovazione e alla specializzazione dei lavoratori — determinano un’espansione endogena e continua del mercato grazie all’aumento della produttività interna e dell’output manifatturiero; e questi, a loro volta, inducono un aumento dei salari e della domanda aggregata.

Allora, come afferma la celebre legge di Gibrat, la crescita delle imprese è frutto del caso? La risposta è negativa: non si tratta, infatti, di un processo aleatorio. Lo stesso discorso vale per i settori economici: è necessaria una certa voluntas per potersi sviluppare e crescere. Eppure, quest’ultima potrebbe non bastare: anzi, risulterebbe talvolta necessario un coinvolgimento dello Stato nell’economia. In generale potrebbero crearsi le condizioni affinché le imprese abbiano bisogno di essere sostenute, alla luce della loro piccola dimensione media, della diffusione dei distretti industriali e di una certa frammentazione nella produzione. Le leve su cui lo Stato può puntare sono molteplici, come i sussidi alla ricerca e la riduzione del cuneo fiscale. Questi strumenti sono efficaci per crescere, anche se bisogna tener conto — come riporta Kaldor — della reciproca dipendenza fra le industry, nonché della loro velocità di crescita, perché “ognuna ha i suoi tempi”. Inoltre, l’Italia è uno dei Paesi europei il cui mercato del lavoro è maggiormente distorto dalla pressione fiscale; simmetricamente, la crescita dei salari è fra le più deboli nell’OCSE.

Sraffa, i classici e quanti abbiano interpretato correttamente il pensiero di Keynes dovrebbero essere considerati un punto di riferimento per le istituzioni, affinché non solo possa accelerare il cambiamento a livello sistemico, ma — finalmente! — ci si muova nella direzione di una politica economica equilibrata, improntata a una crescita sostenibile.