Unità nazionale e divisioni politiche
di Chiara Ciuccarelli
Quale sarà l'effetto della pandemia sulla storia politica del nostro Paese? Questa è la domanda a cui tenta di rispondere la Luiss Master Class tenutasi giovedì 4 giugno. L'obiettivo è quello di fornire una panoramica dell'attuale crisi pandemica, approfondendo il tema dell'unità, cercando di capire se esistono dei fondamenti storici che ci aiutino a leggere le attuali reazioni politiche alla pandemia. La storia d'Italia è caratterizzata da forti contrapposizioni politiche ma può l'emergenza essere un elemento di ricomposizione delle fratture? E, se del caso, in che misura?
A tal proposito, il professore Giovanni Orsina riassume brevemente la storia politica del nostro Paese, evidenziando come la divisività sia un dato strutturale, culturale, politico e sociale della storia italiana, che ha proceduto alternando fasi di divisione politica e fasi di unità nazionale. Le emergenze, infatti, sono riuscite a tacitare i contrasti ma non hanno mai generato meccanismi di ricomposizione delle fratture. Al contrario, storicamente possiamo osservare che una volta passata l'emergenza, le fratture tendono a riemergere con maggiore intensità. Inoltre, in queste vicende, il contesto internazionale ha spesso giocato un ruolo particolarmente rilevante.
Il termine divisività, spiega il professore, è stato coniato dallo storico economico Luciano Cafagna, che l'ha esaminato in chiave politica. In Italia, la divisività ha a che fare con il modo in cui si conoscono le cose. In tal senso, Ennio Flaiano scriveva già nel 1972 che nel nostro Paese non esiste una sola verità ma ne abbiamo infinite versioni: quasi tutti, infatti, hanno una verità da proporre.
La divisività è dunque un tratto caratteristico del nostro Paese. Lo possiamo riscontrare ripercorrendo insieme al professor Orsina l'ultimo secolo della storia italiana. Si parte dalla Grande Guerra, dal momento in cui l'Italia dimostra che è maturata come nazione e pertanto è in grado di combattere una guerra mondiale. Tuttavia, il dopoguerra si incarica di dimostrare che questa presunta maturità presenta alcuni limiti: non è riuscita a raggiungere le classi popolari in maniera robusta e profonda, cosicché esplodono le tensioni sociali. In questo caso, il quadro internazionale non fa che fungere da amplificatore.
L'unità nazionale non riesce più ad essere il prodotto della convergenza spontanea attorno a istituzioni liberali democratiche e diventa il prodotto artificiale di uno sforzo autoritario. Il fascismo emerge infatti come strumento di soffocamento del pluralismo e della divisività italiana. Quella che si osserva sotto il regime fascista è un'unità forzata da un sistema autoritario tendenzialmente totalitario, e non a caso, con la caduta del regime le fratture riemergono in toni ancora più accesi. Una nuova emergenza, la Seconda Guerra Mondiale, interviene però a contenere le divisioni, almeno fino al 1947. A partire da quella data la divisività caratteristica del nostro Paese riemerge, ma questa volta le fratture politiche, per quanto profonde, riescono a convivere all'interno del sistema politico repubblicano. La convivenza si realizza in una sorta di congelamento della divisività: istanze diverse si ritrovano le une accanto alle altre ma non riescono in alcun modo a ricucire un tessuto profondo che consenta loro di superare le fratture della storia d'Italia.
Nel corso degli anni Settanta le emergenze economiche e quelle di ordine pubblico fanno sì che i partiti politici repubblicani siano costretti a lavorare in maniera ancora più stretta. Neanche in questo caso, tuttavia, si riesce a trasformare questa convergenza in qualcosa di più profondo che permetta di superare quella sorta di guerra fredda tutta italiana. Seguono gli anni Ottanta, Tangentopoli e la crisi della Prima Repubblica, con l'esplosione di nuove fratture di stampo non solo politico ma anche di tipo etico e giudiziario. Per di più, queste nuove divisioni emergono proprio nel momento in cui vengono meno gli argini fino a quel momento garantiti dal contesto internazionale: siamo infatti negli anni successivi alla caduta del muro di Berlino e dell'implosione dell'Unione Sovietica.
Qualche anno più tardi alcune caratteristiche del contesto internazionale favoriscono una ricomposizione delle fratture: il clima da "fine della Storia" e quindi di superamento delle divisioni politiche, il Trattato di Maastricht e l'avanzamento del processo di integrazione europea, infine la costruzione della pax americana contribuiscono a creare un nuovo equilibrio.
La Seconda Repubblica, o Repubblica bipolare, non è però in grado di legittimarsi e di legittimare il conflitto politico. Si arriva così all'ultimo tassello del puzzle, la crisi della Seconda Repubblica negli anni 2011 e 2012. Il governo Monti, un governo tecnico chiamato alla guida del Paese, avrebbe dovuto superare le fratture politiche. Il tentativo non è andato però a buon fine: non solo la tecnica non riesce a "curare" la divisività italiana, ma addirittura la tecnocrazia si politicizza e genera una ulteriore ribellione politica. È l'inizio della stagione politica del populismo.
Il quadro storico dipinto abilmente dal professore Orsina viene arricchito di particolari dal giornalista Marco Damilano. Il periodo che si apre nel dopoguerra e che si conclude nel 1978 è un'età dell'oro, sostiene Damilano, in cui le élites cercano di colmare la disgregazione storicamente più complessa tra tutte, quella tra élites e popolo. Ereditata dallo Stato liberale, questa divisione viene attenuata, o almeno così si crede, tramite il meccanismo della rappresentanza. È la "Repubblica dei partiti", di quelli grandi e di quelli piccoli, che cercano di includere tutto quello che si muove nella società al loro interno. L'ossessione della rappresentanza diventerà ben presto ossessione della lottizzazione e della spartizione del potere, fino ad arrivare al punto in cui i partiti inevitabilmente perdono la loro funzione storica.
Secondo Damilano, lo scandalo Tangentopoli apre un lungo periodo in cui la rottura élites-popolo si capovolge. Se fino a quel momento le élites avevano considerato il popolo un fardello, a partire da questo momento ha inizio una sorta di controreazione per cui è il popolo che sfiducia le classi dirigenti, in particolare quelle politiche. Le altre classi dirigenti si sentono inizialmente a riparo da queste dinamiche ma la verità è che la critica si allarga presto a tutte le altre forme di élites fino ad arrivare al rifiuto di una casta che diventa mal vista solo per il fatto di essere al vertice di un organismo.
Il 2013 rappresenta un nuovo punto di svolta: da una parte vi è l'idea della centralità della tecnica, l'ipotesi che solo i competenti possano ripristinare un equilibrio economico e sociale; dall'altra si afferma il Movimento 5 Stelle che si incarna nello slogan "uno vale uno", vale a dire che chiunque può fare meglio dei politici, che altro non hanno saputo fare che trascinarci nel baratro.
L'idea dei 5 Stelle si era andata sempre più diffondendo negli ultimi anni. Da questo punto di vista, la pandemia rappresenta la rivincita delle élites sul popolo: sono tornate le competenze, in particolare quelle scientifiche. Inoltre, la crisi pandemica ha imposto la necessità di una verticalizzazione e ha illuminato di nuova luce il capo di governo e l'intero apparato esecutivo.
Tuttavia, se l'emergenza riunisce, la ripartenza ha subito diviso. La crisi economica su cui ci stiamo affacciando avendo appena superato quella sanitaria tornerà ad unire? La risposta, adottando una visione a più lungo termine, torna a quella stagione in cui una doppia Costituente ha costruito un nuovo equilibrio: da una parte una Costituente nel senso giuridico del termine che prodotto una Costituzione tutt'ora in vigore; dall'altra quella costituente internazionale che ha dato un ordine e una stabilità all'assetto uscito da Yalta. Oggi in particolare si guarda all'Europa e ci si chiede se essa sarà all'altezza della crisi e se saprà affrontare alcune questioni fondamentali per il suo destino o se piuttosto ancora una volta ripiegherà su manovre importanti ma non "costituenti".
Una discussione che verte attorno al tema delle divisioni politiche non può trascurare quelle che sono le divisioni sul piano internazionale. Siamo di fronte ad una ripresa di una guerra fredda? Secondo il professor Orsina stiamo di fatto assistendo al tentativo di ricostruire un ordine internazionale secondo una logica bipolare. In particolare, gli sforzi si concentrano per ricostruire un nuovo bipolarismo tra Stati Uniti e Cina. In questo scenario ci sarà da capire che ruolo avranno assumeranno l'Unione europea e l'Italia. Anche Damilano richiama l'attenzione sulla posizione dell'Unione europea, che dovrebbe essere a suo parere un soggetto politico in grado di farsi largo dentro un vuoto politico lasciato dagli Stati Uniti.
Al termine dell'incontro ci si chiede se, in considerazione di quanto detto, i divari politici si faranno sempre meno colmabili con il tempo. La risposta non può che dipendere dalla misura del dramma che stiamo vivendo in questi giorni. Le fratture tra i partiti politici potrebbero aumentare anche perché, sostiene Damilano, si tratta di una caratteristica del nostro tempo. L'idea del ricomporre e del riunificare è stata una ossessione delle classi dirigenti dell'epoca della Repubblica dei partiti e oggi in una certa misura ne portiamo l'eredità. Il richiamo va al discorso del Presidente Mattarella riguardo all'unità morale del nostro Paese: questo sentimento di unità è però frustrato da una frammentazione veloce e capillare nella politica ma anche e soprattutto nella società, che rischia di trasformarsi in un insieme di interessi sempre più difficilmente riconducibili a unità. Le classi dirigenti inseguono le esigenze degli uni e degli altri ma la tendenza non può durare ancora per molto. In questa situazione sembra ci siano solamente due alternative: o si ritorna ad un voto che stabilisca i rapporti di forza; oppure è necessario che qualcuno, in una situazione possibilmente temporanea, torni a rappresentare un'istanza di unità che non è certo fotografata in questo momento politico.