Dalla campagna alla città o dalla città alla campagna?

di Chiara Ciuccarelli

L'urbanizzazione non è certo un fenomeno nuovo: di migrazione delle popolazioni dalla campagna alla città se ne parla da secoli. Tuttavia, il più recente interesse nei confronti dell'urbanizzazione è dovuto alle dimensioni che oggi il fenomeno assume su scala globale: il 55% della popolazione mondiale vive in aree urbane e si prevede che tale dato aumenterà al 68% entro il 2050. Se nel 1950 la popolazione urbana costituiva un terzo di quella mondiale, oggi ci ritroviamo di fronte ad un totale ribaltamento delle proporzioni. Si tratta di una tendenza globale a cui partecipa anche il nostro Paese: in Italia circa il 75% della popolazione vive attualmente in aree urbane e anche nel nostro caso la percentuale è destinata a crescere. L'evidente conseguenza di questo esodo verso le grandi città è lo spopolamento dei piccoli comuni, fenomeno quest'ultimo che sta recentemente assumendo dimensioni sempre più drammatiche.

Complessivamente nel nostro Paese i piccoli comuni sono circa 5.500, il 70% del totale, rappresentano il 16,4% della popolazione, pari a quasi 10 milioni di persone, e il 54% della superficie nazionale. Da anni queste realtà vanno perdendo abitanti: solo dal 2012 al 2017 hanno perso circa il 3% della loro popolazione. In sei anni se ne sono andate dai piccoli borghi circa 75 mila persone, nella maggior parte dei casi giovani. Al problema dello spopolamento si aggiunge così quello dell'invecchiamento dei piccoli comuni, dove le persone di 65 anni e oltre rappresentano circa il 24% della popolazione. Tra i più giovani chi ne ha la possibilità si trasferisce dal piccolo centro alla grande città, dove c'è più lavoro e dove i servizi al cittadino funzionano meglio. Dal piccolo comune si rifugge in cerca di occasioni migliori e la città attrae con le sue mille e nuove opportunità.

Eppure le statistiche ci raccontano che nei borghi si vive meglio: nei piccoli centri la percentuale di individui che dichiara soddisfazione per la propria condizione di vita è pari al 70%, ben cinque punti percentuali in più rispetto ai centri medio-grandi. In fondo questo dato non stupisce visto che molti sarebbero i vantaggi di cui potrebbe godere chi decide di stabilirsi in un piccolo comune, da un'aria più salubre a un prezzo sensibilmente più basso per gli immobili. Inoltre gli abitanti di una piccola comunità si sentono più sicuri, hanno più fiducia gli uni negli altri, partecipano di più alla vita comune, svolgono attività di volontariato e sono più disponibili a versare contributi ad un'associazione.

Le evidenze ci dicono che la qualità della vita è migliore nelle realtà più piccole ma, nonostante questo, gli italiani ne fuggono. D'altronde laddove non si produce più ricchezza la gente non riesce più a vivere. E così assistiamo alla scomparsa dei borghi d'Italia. Indifferenti. Come se non si trattasse di un vero problema fino a quando Milano e la Lombardia, locomotive del Paese, continuano a produrre per il resto della penisola. La tenuta di un Paese non può però basarsi sul quanto e sul come si produce in una o due regioni, dimenticandosi di tutto ciò che avviene nelle altre. I territori italiani sono diversi gli uni dagli altri ma la diversità non deve necessariamente essere vista come un ostacolo. Al contrario può anche essere una risorsa: luoghi differenti garantiscono infatti risorse diversificate. Perciò è importante considerare ciascun territorio secondo le proprie caratteristiche e le proprie specificità, tenendo a mente che non esiste una formula perfetta entro cui ricondurre tutto. Solo la conoscenza approfondita delle singole realtà territoriali, infatti, può garantire un efficiente utilizzo delle risorse.

In tal senso i piccoli comuni potranno giocare un ruolo molto importante per la ripresa socioeconomica del nostro Paese se la politica saprà rendersi conto che esiste un problema che li riguarda e che deve essere affrontato nell'immediato. L'ANCI ha lanciato l'allarme tempo fa, sottolineando la necessità di una politica nazionale e regionale in favore dei territori e dei cittadini dei piccoli borghi che, da una parte, rafforzi le infrastrutture già esistenti che erogano servizi fondamentali (sanità, scuola, mobilità) e, dall'altra, incentivi gli investimenti di modo da sviluppare e sostenere le attività produttive. Già nel 2014 il governo italiano aveva adottato una Strategia nazionale per le aree interne (SNAI), un piano di interventi indirizzati ai comuni non urbani caratterizzati da un forte calo demografico che, per via della loro posizione periferica, hanno difficoltà nell'erogazione dei servizi fondamentali al cittadino. L'intervento aveva però carattere sperimentale, coinvolgendo solo un quarto dei comuni rientranti nella definizione di "aree interne".

Successivamente, nel 2017, è stata approvata una legge comprendente misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni e disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei loro centri storici. La legge del 6 ottobre 2017, n. 158, che prende il nome dal suo propositore Ermete Realacci, è un primo importante passo verso il rilancio dei piccoli comuni, che cerca di mettere un argine al problema del loro spopolamento, favorendo la residenza in tali comuni e valorizzandone il patrimonio naturale, rurale, storico-culturale e architettonico. A tal fine la legge istituisce un "Fondo per lo sviluppo strutturale, economico e sociale dei piccoli comuni" che dovrebbe essere utilizzato per investimenti diretti alla tutela dell'ambiente e dei beni culturali, alla salvaguardia e alla riqualificazione dei centri storici, alla messa in sicurezza delle infrastrutture stradali e degli istituti scolastici e alla promozione dello sviluppo economico e sociale.

Va sicuramente nella giusta direzione l'idea di favorire le nuove attività produttive tramite una fiscalità di vantaggio e incentivi alle imprese, ma più di tutto bisognerebbe puntare su un potenziamento dei servizi essenziali. È difficile immaginare come una giovane coppia possa pensare di risiedere là dove per essere curati o per mandare i propri figli a scuola è necessario percorrere parecchi chilometri in macchina. In particolare è proprio sull'istruzione dei più piccoli che i borghi di minori dimensioni dovrebbero investire. Scuole nuove e di qualità, che diano una ragione a chi pensa di andarsene altrove di restare e di costruire la propria vita in una realtà più piccola con la consapevolezza di aver compiuto una scelta importante per il futuro dei propri figli.

Il futuro dell'Italia non passa per delle megalopoli stile New York o Tokyo. Siamo il Paese dei piccoli borghi ed è tempo di investire per valorizzarne il patrimonio: senza di essi il Bel Paese non sarebbe lo stesso.