L’Europa alla prova dei fatti
di Hugo Savoini
Oggi è in programma un vertice informale dei capi di Stato e di governo dell’Unione Europea a Sibiu, in Romania. I leader europei discuteranno la prossima agenda strategica dell'UE per il periodo 2019-2024 e procederanno a uno scambio di opinioni sulle sfide e sulle priorità dei prossimi anni. Sarà un appuntamento importante anche per comprendere quale posizione l'Europa intende assumere in tema di politiche climatiche di lungo termine..
Nel novembre 2018, qualche giorno prima dell’inizio della COP24 a Katowice, la Commissione ha presentato la sua proposta con orizzonte al 2050: A Clean Planet for All, un documento che prefigura otto scenari, da un baseline di riduzione dei gas serra dell’80% rispetto al 1990 fino a scenari di sostanziale neutralità carbonica. Il documento, oltre a offrire l’opportunità politica (che è stato giusto cogliere) di presentare la strategia a Katowice, ha la funzione di informare le scelte che l’UE, in base a quanto stabilito dall’Accordo di Parigi, dovrà adottare e presentare alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) entro il 2020. Entro la fine del semestre il Consiglio Europeo si è impegnato a definire la linea di indirizzo politico che la Commissione sarà chiamata nei mesi successivi a declinare in target vincolanti.
Il movimento giovanile rappresentato da Greta Thunberg e l’attenzione mediatica di cui la sfida ambientale ha goduto negli ultimi mesi testimoniano una crescente consapevolezza e sensibilità dei cittadini sull’argomento, ma sul fronte politico europeo la situazione è meno rassicurante di quanto le varie dichiarazioni lascino intendere: il Consiglio Europeo che il 21 e il 22 marzo si è riunito a Bruxelles per discutere di Brexit, di Cina e di clima è stato un preoccupante esempio dell’incertezza che aleggia intorno alla transizione energetica. Diversamente da quanto suggerito e auspicato dalla Commissione, nelle conclusioni del vertice non vi è alcun riferimento alla neutralità carbonica entro il 2050. È invece richiamata l’importanza di tenere conto della specificità dei singoli stati membri e della competitività dell’industria europea. Preoccupati dagli impatti di una transizione troppo rapida, i paesi più dipendenti dal carbone, tra cui Germania e Polonia, hanno impedito la convergenza su un approccio più ambizioso. Conclusioni deludenti che hanno indotto il Presidente francese Macron a definire l’esito della discussione “assolutamente insufficiente”. Altri leader europei gli hanno fatto eco.
Se in occasione del vertice odierno la Germania dovesse mantenere invariata la propria posizione e magari riconfermarla al Consiglio in programma 20-21 giugno a Bruxelles, la leadership che l’Europa si è negli anni costruita in tema di politiche ambientali ne verrebbe appannata. Contribuendo l’UE al 9% delle emissioni annue globali ed essendo il numero in tendenziale diminuzione si potrebbe obiettare che il raggiungimento della neutralità carbonica nel 2050, nel 2060 o nel 2070 non sia un fattore determinante per limitare l’aumento di temperatura a una soglia ben al di sotto dei 2°C come stabilisce l’Accordo di Parigi. Si potrebbe quindi arrivare alla conclusione che il futuro del pianeta dipende esclusivamente dalle scelte che saranno compiute da Stati Uniti, Cina, e soprattutto India. In realtà le cose stanno in questi termini solo in parte. La natura di bene pubblico globale che caratterizza il clima e il pericolo del free riding ci obbligano a tenere conto, oltre al contributo di ogni singola nazione, anche di come esso viene percepito dalle altre. L’UE ha sinora svolto un ruolo da protagonista nelle politiche climatiche globali e, grazie a scelte politiche già costate centinaia di miliardi di euro ai cittadini europei, si è posizionata a livello geopolitico come leader indiscusso nella tutela dell’ambiente. Continuare a essere un esempio da emulare è per l’Europa fondamentale: in una fase di profonda trasformazione dell’ordine internazionale, la leadership nella lotta al cambiamento climatico può costituire la leva strategica attraverso cui compensare lo spostamento a oriente del baricentro economico mondiale. Sottrarsi all’obiettivo della neutralità carbonica entro il 2050 significherebbe vanificare i risultati finora raggiunti e abbandonare l’idea di guidare la più importante sfida che il mondo è chiamato ad affrontare da qui ai prossimi decenni. Ecco perché i leader europei non dovrebbero accettare compromessi sulle politiche climatiche dell’Unione. È indubbio che in alcuni stati membri la transizione pone delle sfide economiche, finanziarie e sociali maggiori rispetto ad altri, ma i costi d’investimento e le problematiche di politica interna non possono rappresentare una ragione sufficiente per rivedere (al ribasso) il livello di ambizione collettiva.
Inoltre, se come il Consiglio Europeo stesso ha dichiarato nelle conclusioni del vertice dello scorso marzo “l'attuazione dell'obiettivo dell'Accordo di Parigi offre opportunità e un potenziale significativi di crescita economica, nuovi posti di lavoro e sviluppo tecnologico, nonché di rafforzamento della competitività europea”, rallentare questo processo è anche economicamente sconveniente. Le soluzioni per rendere la trasformazione energetica socialmente e politicamente possibile per tutti i paesi europei esistono. È necessario trovare il coraggio di implementarle. Indipendentemente dal mero calcolo politico che raramente riesce a vedere oltre la scadenza elettorale più vicina, e nonostante i tempi giurassici e i meccanismi vischiosi con i quali è solita procedere la burocrazia di Bruxelles.