Populismo: causa o conseguenza dei nostri problemi?

di Hugo Savoini

In Francia il malessere sociale ha assunto la forma concreta della protesta di piazza. La decisione del governo di aumentare le accise sul carburante ha acceso la miccia di uno scontro che da ormai qualche settimana sta mettendo sottosopra le principali città d'Oltralpe. In una prima fase, il governo ha ritenuto di anteporre la necessità di una tassa sui carburanti come disincentivo all'uso dei combustibili fossili nel settore trasporti alle questioni sollevate dal movimento dei gilet gialli. Successivamente, l’intensità della protesta e i timori sulla tenuta dell’equilibrio sociale in Francia hanno indotto l’esecutivo guidato da Emmanuel Macron a sospendere il provvedimento. Il dietrofront del governo non è comunque stato sufficiente a calmare gli animi e i gilet gialli hanno annunciato che le proteste proseguiranno. Ma allora, se non il singolo provvedimento, che cosa spinge i gilet gialli a continuare le proteste nonostante le concessioni ottenute dal governo?

La verità su questa storia è decisamente più amara di quanto non appaia e ha radici profonde: i gilet gialli sono quella non marginale parte della società che fino agli anni ‘80 e ‘90 rappresentava la classe media, ma ora impoverita da anni di cattive politiche si ritrova a essere la componente più debole di un’economia sempre più polarizzata. Il suo potere d’acquisto si è negli anni progressivamente ridotto ma nessuna forza politica ha efficacemente proposto e perseguito ricette di politica economica e industriale in grado di proteggere una classe media che andava inesorabilmente verso la disgregazione. È così che i pendolari che dal lunedì al venerdì fanno avanti e indietro dalla periferia alla città per lavorare come meccanici, segretarie, spazzini ecc., il sabato e la domenica indossano i gilet gialli e manifestano contro un sistema economico e sociale verso il quale non hanno più fiducia, e dal quale si sentono marginalizzati. È superfluo affermare che la violenza non restituirà ai gilet gialli i diritti perduti, ma allo stesso tempo è sorprendente lo stupore delle classi dirigenti europee quando in occasione di ogni appuntamento elettorale, i movimenti populisti risultano i vincitori e i partiti tradizionali gli sconfitti.

In Francia, dove la soglia della sopportabilità sociale e del rigore fiscale, è storicamente più bassa rispetto ad altri paesi come ad esempio l’Italia, abbiamo ora i gilet gialli, ma esaminando a fondo, anche in altre realtà troveremmo dei gilet gialli: negli Stati Uniti dove è stato eletto Donald Trump, in Gran Bretagna che il prossimo marzo uscirà dall’Unione Europa, in Spagna dove Podemos è ormai una forza di governo, in Italia dove il Movimento 5 Stelle ha ottenuto il 30% alle passate elezioni e ora guida il paese insieme alla Lega, financo in Germania dove Alternative für Deutschland da qualche mese siede nel Bundestag.

Questa insoddisfazione è un fenomeno che attraversa trasversalmente le società occidentali, e al quale le cosiddette "élites" hanno per lungo tempo assistito inerti, salvo gridare al “populismo” una volta che il problema aveva assunto dimensioni ragguardevoli e trovato una naturale espressione politica.

La parola populismo è infatti da qualche tempo molto abusata nel dibattito pubblico, e colpisce che essa venga usata quasi esclusivamente da esponenti dei partiti politici tradizionali, e dagli elettori che in tali istituzioni ancora si riconoscono, per definire i movimenti che si sono recentemente affermati nello scenario politico occidentale. Per loro, i populisti sarebbero una minaccia potenzialmente in grado di destabilizzare la società e gli equilibri democratici costruiti dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi. Nella narrazione anti-populista dell’establishment ormai diffusa in Europa, essi, peraltro, non avrebbero al loro interno le competenze necessarie a guidare un paese.

Tuttavia, ciò non consente di affermare che i tanti elettori dei partiti populisti abbiano votato in modo sbagliato, o peggio, come anche esplicitamente è stato affermato in alcuni articoli pubblicati sui principali quotidiani italiani, siano elettori di serie b. Per questo è quanto mai opportuna una riflessione più profonda sulle cause all’origine di questo nuovo fenomeno politico, semplificato troppo frequentemente con l’uso del termine populismo. Dalla riflessione è auspicabile che nascano nuove idee in grado di allontanare l’Europa dall’orlo del precipizio sul quale pericolosamente cammina.

Qualsiasi proposta di soluzione agli squilibri sociali che trovano nel populismo una valvola di sfogo deve partire dall’assunto che il populismo, prima di essere una potenziale fonte di instabilità è una conseguenza di problemi profondi e reali che affliggono la nostra società. Il populismo non è la causa, ma la conseguenza dei problemi in cui si dibattono alcuni paesi occidentali, e la vicenda dei gilet gialli non fa altro che fornirne la testimonianza reale. Una soluzione a questi problemi deve diventare l'irrinunciabile obiettivo di qualunque movimento che voglia ricostruire il logorato rapporto tra politica e cittadini. Attendere una soluzione da coloro i quali hanno per anni rivolto lo sguardo altrove rischia tuttavia di rivelarsi una vana illusione.